Spagna pirenaica, anni ’20. Una bambina reclama alla nonna ancora disgustata dalla condotta della propria figlia, il diritto a conoscere la propria storia. Non a caso questa bambina, che ritroviamo pochi anni dopo a Barcellona con il fucile in spalla, pronta per partire e combattere tra le file della milizia anarchica, si chiama Verdad, come quella verità che è destinata a cercare e come la verità del monte Verità, la comune libertaria sui monti svizzeri dove è stata concepita. A raccontare in un romanzo disegnato, in libreria per Conino Press, la storia di questa donna combattente è Lorena Canottiere, autrice torinese, alla sua seconda prova con la narrazione lunga.

Verdad è la storia di un viaggio, un cammino interno di definizione, crescita e autodeterminazione. Da cosa hai tratto ispirazione per costruire questo personaggio?

È nato in maniera molto istintiva, e come talvolta accade, si è trattato di un imprevisto. Mi stavo documentando per raccontare un’altra storia, quando mi sono imbattuta nella vicenda della comune libertaria di Monte Verità, esistita nel primi anni del ’900 ad Ascona, in Svizzera da cui son passati moltissimi intellettuali e artisti dell’epoca come Herman Hesse, Otto Gross, Mikail Bakunin, vera fucina artistica di inizio novecento, dove si praticava il matriarcato, il vegetalianesimo, il nudismo. Monte Verità è rimasto come una postilla e come obiettivo ultimo del viaggio di Verdad. È poi subentrato il bisogno di rappresentare la battaglia contro il fascismo durante la Guerra di Spagna e tutto quello che ha rappresentato questo conflitto che ha visto coinvolte persone di tutto il mondo. Si tratta una storia contemporanea, solo in apparenza una vicenda storica e politica passata, che invece reclama bisogni molto attuali, come soldi e potere.

Monte Verità è un luogo dove l’utopia è stata realtà, e il viaggio verso questo luogo è esattamente il motore narrativo della storia. Però è anche il nome della protagonista che cerca di ottenere la propria verità, non avendo mai conosciuto la madre. Come hai messo in relazione questi due movimenti opposti?

Verdad si chiama così in onore e in memoria di questo luogo, la società utopica sulle montagne svizzere legata alla memoria della madre. Verdad ha un nome che è un controsenso, è la verità che ricerca, ma lei stessa si mette continuamente in dubbio, e anche quando raggiunge una meta continua a porsi domande. Il legame tra queste due dimensioni è creato nel testo da tavole che sono tecnicamente diverse e che rappresentano la leggenda della volpe vecchia; un inserto narrativo frammentato che svela come la protagonista insegua non tanto ciò che le ha lasciato la madre, né tantomeno quello che la guerra le permette di dimostrare, ma qualcosa di più profondo, che agisce a livello dell’inconscio ed è probabilmente legato alla ricerca del selvatico, dell’irrazionale, un atteggiamento tipico di coloro che non si accontentano di ciò che ci viene dato dall’esterno.

Queste parti alterano felicemente il ritmo narrativo della storia, le danno un respiro diverso, offrono una specie di controcanto al punto di vista di Verdad. C’è un significato simbolico nell’uso della volpe?

La volpe rappresenta il lato selvaggio che si oppone alla società rurale e chiusa dove a lei è toccato di vivere. Ovviamente è una storia che parla di prede e predatori, sostenendo che a un certo punto ognuno di noi scopre la sua indole, di preda o di predatore, che ne determina il destino: cercare di difendersi dal predatore, o tentare per sempre di attaccare la propria preda. Ci si uccide con le parole, in questa leggenda. La cosa curiosa è che mi è venuta a mente in sogno. Ho dovuto trascriverla appena sveglia perché mi sembrava perfetta per quello che volevo raccontare. La volpe è sia preda che predatrice e mi piaceva perché è selvatica, conserva la sua natura, ma interagisce con gli umani, per esempio quando fa visita nei pollai.

Dialettica preda predatore. Quanto questa dinamica, di chi cerca e di chi è cercato, serve allo sviluppo della protagonista?

È lei stessa a divenire preda e predatrice; dopo la battaglia persa, quando Barcellona sta per finire in mano ai fascisti, mentre tutti scappano per non essere giustiziati, le viene proposto dai suoi compagni di fuggire in Francia, riorganizzare la battaglia, continuare a lottare. Ma lei rifiuta, sceglie l’autoisolamento, si ritira solitaria in montagna-come molti partigiani faranno poi in Italia- ed è a questo punto della storia che capiamo che la sua battaglia è diventata qualcos’altro. Il nemico non è più Franco, non è più l’ideale, la lotta si rivolge verso di lei stessa poiché ha perso anche fisicamente, e rivolta a ciò che continua a cercare. Una battaglia che non finisce mai, che si allarga esponenzialmente nella sua ricerca e richiesta di verità.

Sembra che le bombe della storia, esplodano anche tra le pagine del libro, nel quale utilizzi una palette abbacinante e fai sfoggio di una tecnica sorprendente.

Non ho usato il nero, tranne che nelle parti della leggenda di cui parlavamo, che è fatta a grafite e matite, aggiungendo il rosso e il blu. Ho lavorato manualmente e in digitale. Le tavole in cui Verdad è adulta sono realizzate con l’acrilico giallo e rosso, e l’azzurro è aggiunto al computer. Nelle parti dell’infanzia della protagonista, la tecnica è la stessa, ma ho utilizzato i pastelli al posto dei pennelli, per distinguere i flashblack. La scelta cromatica dei tre primari invece è stata fortemente influenzata dalla documentazione raccolta per il libro, i manifesti di propaganda dell’epoca erano in gran parte serigrafie e spesso realizzate con questi colori.

«La utopia es necesaria», si legge nel frontespizio del tuo libro. Quanto è necessaria l’utopia nel mestiere del narratore?

Totalmente necessaria. Riesco a scrivere solo estraniandomi, togliendo tutte le regole che ho rispettato fino a quel momento, per cui ogni narrazione è ricerca, un mondo da scoprire. Se non c’è un castello in aria non ha senso raccontare, anche quando si parla del quotidiano, soprattutto di quello. Proprio quando si conosce una realtà a fondo, è necessario andare oltre per poterla rappresentare. La frase nel frontespizio è di un falsario anarchico che aveva il sogno di sovvertire lo stato sociale mondiale stampando talmente tante banconote false da far saltare il sistema monetario.

Il viaggio verso utopia è il motore della narrazione; Verdad conclude dicendo che l’importante è che non sia stato inutile.

Certo, non è mai inutile: una dose di utopia e se vogliamo di dadaismo è necessaria in ogni gesto, se vogliamo continuare a vivere in modo reale. Nell’ultima vignetta di Verdad c’è una nuova volpe che agguanta una preda, ma non è la stessa che abbiamo visto nel resto della storia: è un altro animale, come a indicare che la ricerca dell’istintività, della selvaticità non si conclude mai.

Come nella lotta si alzano i canti, nel libro esiste una colonna sonora che si può ascoltare e scaricare da soundcloud (https://soundcloud.com/stefanorisso/sets/verdad/s-lgCd5)

Tutti i movimenti popolari sono accompagnati da canti di protesta che non solo raccontano in maniera viscerale una parte di storia autentica dal punto di vista dei diretti protagonisti, ma spesso sono stati anche veri motori per intere battaglie. Mi sembrava scorretto prescindere completamente da quest’elemento sonoro e narrativo, ma non volevo che fosse una raccolta di canti popolari, ma piuttosto una colonna sonora, come quella di un film, un bordone che accompagnasse tutti i momenti, esaltandone quelli salienti e quelli più emotivi. Per la prima volta nella mia vita, ho lavorato con il mio compagno, Stefano Risso, che ne è il compositore.