Una denuncia per stupro, amplificata dai giornali locali, ha aumentato la pressione sul presidio No Border alla frontiera tra Mentone e Ventimiglia. Una trentenne italiana ha raccontato alla polizia di essere stata stuprata da un senegalese “per un’ora in una doccia”. Un episodio non recente, denunciato solo ora perché gli attivisti l’avrebbero convinta a tacere “per non danneggiare i migranti”.

Le testimonianze raccolte parlano “di una ragazza marginale e con forti disturbi del carattere” che era stata accolta e poi allontanata e per questo avrebbe reagito male. Le “donne del presidio” respingono il racconto diffuso dai media, denunciano “l’uso del corpo come strumento di ricatto” e precisano il proprio punto di osservazione: quello di una “comunità basata sull’autogestione”, la cui etica poggia “sui principi dell’antirazzismo, antisessismo e dell’antifascismo”.

Al presidio – scrivono – “combattiamo la cultura dello stupro che considera legittima la denuncia di violenza da parte di una donna solo nel caso in cui questa venga confermata da un’autorità medico-giuridica”. Da secoli, la cultura maschilista mette in dubbio la parola delle donne. “Accusate di essere pazze, isteriche, irrazionali per natura, possiamo parlare solo se un’autorità determina la nostra credibilità. Noi alla voce di una donna che dice di avere subito una violenza abbiamo dato, diamo e daremo sempre ascolto e supporto, senza che un medico, un giudice o un poliziotto ne debba prima confermare le parole. Lottiamo ogni giorno perché il presidio No Border sia uno spazio di sicurezza per ogni donna che lo vive e attraversa”.

Alcune righe del comunicato, confermano il racconto dell’espulsione. La pratica dell’autogestione – scrivono ancora le attiviste – è basata sull’ascolto e l’orizzontalità e non si limita alla lotta contro la frontiera geografica e amministrativa, ma implica “una costante messa in discussione di tutte le frontiere, quale che sia il potere che le sostiene”. Un funzionamento condiviso che “ha portato, in alcuni casi, alla decisione collettiva dell’allontanamento di persone che non riuscivano a vivere secondo i principi e le pratiche dell’autogestione”.

Ma, intanto, prende più forza “il partito dello sgombero”. Venerdì sera, i migranti hanno nuovamente bloccato per due ore il traffico alla frontiera e sono stati caricati dai carabinieri in tenuta antisommossa. Fioccano denunce e fogli di via per gli attivisti. Monsignor Antonio Suetta, vescovo della Diocesi di Ventimiglia-Sanremo, dopo aver donato 2.000 euro al presidio autogestito, annuncia invece un incontro con i No Border per il 30 settembre alle 21, nella chiesa di San Nicola.

Il sindaco di Ventimiglia, Enrico Ioculano – che ha finora accettato la presenza di un altro gruppo di migranti nei locali della stazione – fa sapere che non andrà e preme per lo sgombero. E intanto si cerca una soluzione alternativa al campeggio per l’incombere del maltempo e delle mareggiate.

Il presidio ospita circa 170 migranti che, l’11 giugno di quest’anno, si sono accampati sugli scogli del Ponte San Ludovico. Le nazionalità cambiano, ma il dramma resta. Migranti in transito verso altri paesi, che tentano di attraversare la frontiera ma vengono rispediti indietro: da una parte e dall’altra del confine, perché nessun paese vuole aumentare la sua “quota”.

Donne e uomini senza difesa e senza diritti, esposti ai traffici e agli abusi, reduci da traversate bibliche: in fuga da territori devastati dove i devastatori non resterebbero neanche cinque minuti. Adesso dicono: “We are not going back”, non torniamo indietro.