Un vento elettronico forte e impetuoso arriva dall’Africa subsahariana. Porta con sé storie consolidate e in piena effervescenza come il gqom sudafricano e il kuduru angolano e al contempo, nuove ed entusiasmanti narrazioni digitali come la electro acholi e la singeli music. Tutti gli stili hanno una genesi comune, data dal contatto e dalla fusione di suoni, ritmi e danze tradizionali con la techno, la dance e i loro molteplici sottogeneri. La caratterizzazione è garantita dalle diverse provenienze geografiche, su cui si innesta il lavoro di artisti, club, festival e, sovente, ong e istituti culturali transnazionali che sostengono e finanziano opportunità artistiche e sociali. Ecco quindi che l’atto popolare e unificante del riunirsi sotto casa, evidenzia un fermento musicale di massa, simile ma sempre diverso in base ai luoghi e ai contesti socio-economici e politici in cui nasce e si diffonde e che, proprio per tali caratteristiche, è palesemente empatico e aggregante. A questo si aggiunge un dato demografico ineccepibile: come riporta l’Unpfa, massima autorità internazionale in merito, nell’Africa centro meridionale si rintracciano i paesi con la maggior percentuale al mondo di popolazione infantile e adolescenziale. Uganda, Angola e Mozambico sono ai vertici delle classifiche e certamente, Kenya, Tanzania e Sudafrica non sono paesi per vecchi. L’ondata electro in arrivo da quell’area, oltre i battiti per minuto, le uscite discografiche, il business e l’impatto mediatico, racconta l’esigenza delle nuove generazioni di avere un’espressione sonora identificativa e rintracciabile nei territori in cui vivono e che indubbiamente, vogliono continuare a sentire loro. Anche attraverso una propria club culture.

UGANDA
«The Irresistible Urge to Dance» è uno slogan immediato, di una potenza comunicativa enorme. È stato formulato a Kampala dai creatori di un festival e di una etichetta discografica, i quali lo hanno apposto in bella evidenza sui canali digitali delle loro attività. A cui con una brillante intuizione hanno dato eguale nome: Nyege Nyege, espressione che non casualmente in lingua luganda, una delle principali dello stato africano, si traduce in «una irresistibile voglia di ballare». L’epicentro del tutto si è avuto nella capitale al club Boutiq Electroniq, dove attorno all’interazione avutasi tra l’organizzazione comunitaria Nilotika Cultural Ensemble impegnata nella preservazione e valorizzazione delle arti, il ricercatore greco armeno Arlen Dilsizian e il factotum belga Derek Debru, si è venuto a creare un clima favorevole all’incontro tra dj e musicisti, da cui sono emersi in primis il collettivo di percussionisti Nilotica Drum Ensemble. Gli eventi hanno iniziato a prendere una forma definita e funzionale nel 2015, quando ha preso il via lo studio di registrazione Boutiq ed è stato inaugurato il Nyege Nyege Festival, andato in scena in un’area turistica abbandonata sulle sponde del lago Vittoria, vicino la città di Jinja. Con l’ufficializzazione della nascita della Nyege Nyege Tapes a fine 2016 e la prima uscita a gennaio 2017 firmata da Disco Vumbi, vale a dire il keniano Alai K supportato dal Drum Ensemble e dallo strumentista Juicy Fonkodi, sia la rassegna che la label sono progressivamente decollate, dando vita ad oggi a più di trenta pubblicazioni discografiche, oltre che a una kermesse di riferimento per l’intero emisfero orientale. Il festival è diventato il principale volano per l’affermazione di un nuovo sound basato sull’integrazione tra electro e tradizione. Inoltre la messa in movimento dell’intero circuito, sta fungendo da propulsore per il passaggio successivo, vale a dire la salita sul palco di giovani artisti che abbandonati gli strumenti analogici, si esibiscono direttamente con quelli digitali, spesso riproponendo melodie tradizionali a cui aggiungono vocalist che ampliano ulteriormente la gamma musicale. E mentre bugandan techno, hip hop e trap si sciolgono l’una nell’altra, il mondo Nyege Nyege grazie a una micidiale comunicazione in rete, è divenuto un vero e proprio aggregatore di suoni ed esperienze comunitarie locali e transnazionali. Tra i nomi di rilievo spiccano Nihiloxica, Robert Mugamba, Jajja Kalanda, Leo PaLayeng e Otim Alpha. Menzione a parte per la star Dj Rachael: calca i principali palchi internazionali da vent’anni e oltre l’attività come dj e producer, da tempo è impegnata nel dare luce e valorizzare il ruolo delle donne in ambito electro con il collettivo Femme Electronic da lei fondato, in cui è supportata dalla piattaforma sociale Santuri e dal Goethe Institut. Dallo stesso gruppo giunge anche la brava Dj Kampire.

KENIA
Proprio a Nairobi ha sede Santuri East Africa, organizzazione artistica senza scopo di lucro che dal 2014 si preoccupa di supportare, mettere in rete e far emergere musicisti, dj e produttori non solo keniani ma anche ugandesi e tanzaniani. Femme Electronic, presente in ognuno dei tre stati, è ad oggi uno dei progetti meglio riusciti di Santuri. Che è anche il motore, assieme al partner londinese SoundThread, dei dischi firmati dalla formazione rurale ugandese Mugwisa International Xylophone Group. Dj Slikback, uno degli artisti kenyani più noti, prima di prendere il volo a livello internazionale imponendo il suo stile a metà tra grime e techno, è dovuto ricorrere a un’etichetta discografica di Kampala, la Hakuna Kulala. Stesso percorso da Nairobi per il duo dei Duma che si connota per inasprire i suoni fino ad arrivare alle soglie del grind e della drone music: sono di casa alla Nyege Nyege Tapes. Notevole anche il profilo di Suraj, dj originario di Kisimu, che fonde registrazioni sul campo da lui effettuate con accenti dance e afrofuturism. Suraj è particolarmente attivo anche in veste di ricercatore e produttore, come dimostrano sia i lavori collaborativi sul campo con la piccola ma combattiva Bengatronics Records, che quelli in prima persona con Midi Minds Kenya, dove assieme ad altri due dj, Foozak e Dylan, creano progetti di laboratori musicali ed educativi nelle aree rurali del paese, mirati a dare supporto alle comunità che incontrano. Tra i vari festival che animano la scena, nella capitale si segnala Africa Noveau, rassegna di stampo alternativo e progressista che segue la filosofia locale Afro Bubblegum improntata sul motto «divertente, feroce, frivolo». Sulla costa meridionale troviamo il Kilifi New Year, recentemente rinominato Beneath the Baobabs, che nello spirito è vicino al Nyege ugandese, anche se ospita stelle dance hip hop come EA Wave, Coco EM e Blinky Bill.

TANZANIA
Il mantra dominante è quello della singeli music, originatasi da una miscela di suoni locali quali il segere, una riproposizione elettronica di ritmi tradizionali, l’hip hop di Dar Er Salaam chiamato Bongo Flava, la storicizzata taraab proveniente dalla costa e la sua versione synth, la mchiriku. Anche la singeli arriva dai quartieri popolari della capitale, da club e vibranti feste notturne frequentate dai residenti che hanno visto quei ritmi solidificarsi nel Sisso Studio e alla Pamoja Records, nella circoscrizione di Mburahati. I titolari sono icone viventi del genere, Sisso Mohamed e Duke, quest’ultimo noto per il duo con MCZO. Grazie a loro la singeli, che si distingue con ritmi vorticosi e velocissimi oltre i 200 bpm e per la presenza di mc, si è imposta durante lo scorso decennio dapprima come musica del ghetto, per poi scrollarsi di dosso questo stigma e diffondersi in tutto lo stato. Una grossa mano in tal senso è giunta, neanche a dirlo, dalla Nyege Nyege Tapes, fondamentale nella circolazione di nomi di riferimento come Bamba Pana, Jay Mitta, Rehema Tajiri e Makaveli. A questi vanno aggiunti anche Mario Swagga, che deve il soprannome d’arte proprio al calciatore Balotelli e il sodale Dj Silila. La singeli di oggi, oramai sdoganata, ha come stelle riconosciute Buda Zoni, Meja Kunta, Tamimu, Sholo Mwamba e Man Fongo, viene pubblicata da blasonate etichette tanzaniane come la De Fatality, e oltre a veraci festival locali come il Singeli Michano di Dar Er Saalam, la si rintraccia anche in rassegne enormi come il Tigo Fiesta e il Bagamoyo Arts and Culture. Significative in tal senso, le parole di Abbassi Jazza, manager dei Sisso Studio della prima ora: «La singeli è nata in strada dai nostri giovani. Piace a tutti, ragazze e ragazzi, padri e madri. Questa è la nostra musica».

MOZAMBICO
È indubbiamente la scena musicale più giovane, con ampi margini di sviluppo e che al contempo subisce maggiormente il peso della pandemia da Covid-19, soprattutto nell’organizzazione degli eventi dal vivo. Il leader dell’intero movimento è Nandele Maguni, capace di fondere sperimentazione e improvvisazione con il trip hop, l’afrofuturism e i ritmi dell’entroterra. Figlio del primo direttore africano della radio nazionale, ha iniziato come batterista per poi evolvere il suo linguaggio in modo superlativo, al punto che ad oggi incide sia per etichette locali che estere, vantando una corposa discografia. Nel solco tracciato da Nandele, si muovono una lunga serie di giovani e talentuosi virgulti come il duo Mapiko Mweya e i solisti May Mbira, Ricky Kc19, Van Sorse, André Junior, Acizzy e Tushimitsu. La house palesemente declinata in modalità afro e deep, è il suono predominante che viene supportato da una corposa schiera di case discografiche, le quali si segnalano anche per una discreta capacità di interazione l’una con l’altra. Tra le principali abbiamo la Kongoloti Records in cui Nandele è di casa, la Sickest Sound organizzatrice tra l’altro del Behind the Bass Festival, una delle più stimolanti rassegne underground di Maputo e promotrice, assieme alla !K7 degli aspetti più dance dell’intero movimento e con la quale non casualmente, condivide nel proprio cartellone Dj Kappa, riferimento della drug house, sottogenere più esacerbato e potente della bass house, con cui le due label si contraddistinguono. Notevole è anche il lavoro svolto dalla Xibalo Records, che annovera tra le sue fila due prospetti interessanti come Double Drop e Rude, da tenere d’occhio considerata la spiccata propensione ritmica tradizionale che ne è il loro modus operandi.

SUDAFRICA
Fare il punto sulla scena electro sudafricana è compito arduo, considerata la diffusione e la ricchezza di stili e generi che permeano questa terra da tempo. Due elementi possono però essere di supporto. Il primo fa riferimento alla enorme quantità di festival destinati alla trance e alla goa music, frequentati quasi totalmente da pubblico bianco locale ed estero: l’elevato numero di partecipanti è un business importante che racconta di un utilizzo pressoché ricreativo di modelli di intrattenimento elettronico stereotipato. Il secondo punto da sottolineare è la notizia per cui i South African Music Awards, equivalente dei Grammy, nel 2021 per la prima volta hanno scisso la categoria Best Kwaito-Gqom-Amapiano» in tre premi separati, legittimando mediaticamente queste espressioni soniche popolari totalmente africane. La riflessione unificante, oltre l’emersione dei meri interessi dell’industria musicale sudafricana, palesa concretamente come l’urgenza identitaria che ha portato negli ultimi venticinque anni alla nascita di suoni sintetici contemporanei, in buona parte dal basso, sia oramai salita a un riconoscimento nazionale. L’elettronica in Sudafrica è «pop» nella più reale delle accezioni. Lo dimostra il suono del kwaito di Soweto, che mescolando hip hop e house, dagli anni Novanta in poi ha percorso molta strada, diventando dominante nella scena mondiale come dimostra il profilo artistico della star Black Coffee. Non da meno è la shangaan electro, che con i suoi ritmi velocissimi ereditati dalla tsonga music nel nord del paese che rammentano la singeli tanzaniana, ha raggiunto una sua dignità nell’esistere, pur se meno blasonata e «cool» del kwaito di Johannesburg. Notevoli anche le melodie levigate dell’amapiano sound, che a metà tra lounge e deep house, sta divenendo la colonna sonora non solo degli adolescenti di Makifeng, con un «Kidz Festival» dedicato, ma anche dei ventenni di Pretoria. Ha piena legittimità anche il gqom sound: creato dalle mani dei ragazzi delle township di Durban, attraverso l’etichetta locale Gqom Oh! fondata dal romano Francesco Cucchi e la londinese Goon Club, è riuscito grazie a un ipnotico e oscuro tempo in terzine a diventare il suono dei rave e dei club sudafricani e non solo.

ANGOLA
Il suono del popolo, questo è il kuduro, traducibile come «culo duro», nell’Angola di oggi. Una cultura nata e ancora fortemente giovanile, ma patrimonio di tutti, originatasi nei musseque, le baraccopoli di Luanda e del resto del paese, sui passi frenetici di pseudo danze giocose e acrobatiche messe in piedi dai ragazzi di strada e divenute poi, qualcosa di molto più strutturato. Tra fine anni Novanta e primi Duemila, ai corpi che ballavano iniziarono a rispondere i canti, le strumentazioni percussive e successivamente, quelle sintetiche. Che si rintracciavano in studi più o meno improvvisati nei bassifondi della capitale: a questa prima fase seguirono luoghi che fecero poi la differenza, posti come i Kuduro Studios, lo spazio di registrazione Jupson e quello del Guetto Produções, i quali alternandosi nel corso degli anni hanno contribuito alla crescita e alla formazione del kuduro sound per come è oggi. E mentre i dischi venivano stampati artigianalmente e distribuiti a mano e le feste improvvisate iniziavano a divenire consuetudine, l’anima popolare e la centralità sul mondo under 18 non solo non si disperdeva, ma si accresceva sempre di più. Entrando nell’immaginario visivo dei video con milioni di visualizzazioni delle stelle attuali: donne e uomini come Gata Agressiva, Noite & Dia, Fofando, Pai Diesel, Bobany King e Puto Prata. Il kuduru è diffuso ovunque nel paese, lo si incontra nei club e nelle strade, nelle feste di compleanno e durante le celebrazioni, financo a concerti improvvisati per le televisioni locali, dove l’idolo musicale del momento chiama a ballare sul palco i bambini del posto. L’influenza è forte anche per i figli della diaspora in giro per il mondo, che lo portano con sé nelle loro peregrinazioni. A partire proprio dal Portogallo che così tanto peso ha nella storia del paese africano. Nel 2008 furono i Buraka Som Sistema a tirar fuori l’iconografico brano Sound of Kuduro, aprendo la strada ai figli dei migranti angolani nelle periferie lusitane. Su questi ha fatto luce in particolar modo l’etichetta Principe Discos dal 2011 in poi, facendo conoscere artisti come Dj Marfox, Dj Nigga Fox e il collettivo Tia Maria. E nel frattempo, altri angolani lontani dalla loro terra fanno furore, vedasi il geniale Pedro Coquenão, meglio noto come Batida, da anni sulla scena e in queste settimane impegnato con il nuovo fulminante progetto Ikoqwe assieme al rapper militante Ikonoklasta, il quasi melodico duo Lua Preta per metà polacco, il giovane Nazar autore di un rough kuduro impregnato di contenuti sociali di denuncia.

FUORI I DISCHI
Dj Slickback Lasakaneku-Tomo (Hakuna Kulala)
Aa.Vv. Electro Acholi Kaboom from Northern Uganda (Nyege Nyege Tapes)
Aa.Vv. Sounds of Sasaab (Madorasindahouse)
Aa.Vv. Sounds of Sisso (Nyege Nyege Tapes)
Aa.Vv. The Sound of Durban (Gqom Oh!)
Duke Uingizaji Hewa (Nyege Nyege Tapes)
Mugwisa International Xylophone Group Iganga (On the Corner)
Nandele Maguni Plafonddeinst (Already Dead Tapes and Records)
Nihiloxica Kaloli (Crammed Discs)
Otim Alpha Gulu City Anthems (Nyege Nyege Tapes)