Crisi umanitaria, stato fallito, code bibliche davanti ai supermercati… Sono questi i titoli delle notizie provenienti dal Venezuela. Qualche volta, filtra un trafiletto su un argomento che nel nord del mondo – dove i diritti economici sono sempre più una chimera – diventerebbe una notizia da «uomo morde cane»: «Nicolas Maduro aumenta salari e pensioni», oppure «il presidente occupa la fabbrica chiusa insieme agli operai», e poi «aumentate le borse di studio anche per gli studenti all’estero», e ancora «il governo destina oltre il 70% degli introiti ai piani sociali».

In questi giorni, il presidente ha consegnato la casa popolare n. 1.300.000, ammobiliata e gratuita per i redditi bassi, a Ciudad Caribia, la cittadella autogestita creata da Chavez: nell’ambito della Gran mision vivienda Venezuela (Gmv). Un programma che ha preso avvio del 2011 e che si propone di arrivare a tre milioni di alloggi popolari entro il 2019.

Nel 2016, nonostante la drastica caduta del prezzo del petrolio, su 303.997 abitazioni, lo Stato e le comunità organizzate ne hanno costruite 285.518, il settore privato 18.477. Come può uno «stato in bancarotta» realizzare tutto questo? Perché una «cricca totalitaria abbarbicata al potere» dovrebbe decidere di non far pagare ai più deboli i costi della crisi, affrontando la guerra con i grandi decisori internazionali?

L’«esperimento bolivariano» non è un orologio svizzero né un concerto di voci bianche, né le riforme strutturali fin qui compiute sono apparentabili alla Russia di Lenin: e infatti, la parte più a sinistra del chavismo propone di non pagare più il debito estero e di andare più a fondo espropriando le banche. I problemi ci sono, eccome. Ma anche così, basta comparare qualche dato con uno dei paesi vicini, la Colombia del presidente neoliberista Manuel Santos, insignito del premio Nobel per la pace, per rendersi conto che a tornare alle ricette di prima si starebbe ben peggio.

Il Venezuela è un paese di 29 milioni di abitanti, la Colombia ne conta 47 milioni. Secondo l’Unesco, in Venezuela l’83% dei giovani va all’università (gratuitamente e con l’ipad), e le università pubbliche sono 43, mentre in Colombia la percentuale è del 32% e le università sono 32. Secondo la Fao, che ha dedicato il programma mondiale contro la fame a Hugo Chavez, i malnutriti in Venezuela sono il 5%, in Colombia il 15%.

E nessuno ha parlato della tragedia umanitaria che sta vivendo la popolazione indigena wayuu nella Guajira colombiana, dove nel 2016 sono già 89 i bambini morti per denutrizione, il 55% della popolazione vive in povertà estrema e il 40% non ha accesso al cibo. E si potrebbe continuare con le pensioni (20% in Colombia, 73% in Venezuela) o con l’acqua potabile (il deficit è del 5,3% in Venezuela, ma del 28% in Colombia, dove interi municipi ne sono sprovvisti). L’insicurezza? I diritti umani? Si dà per inteso che «Caracas sia la città più violenta al mondo», senza parlare dell’Honduras, del Messico (che quest’anno ha fatto registrare la cifra record di 20.800 morti), ma anche della Colombia, dove si trovano 5 delle 100 città più violente al mondo, dove i leader sociali fanno costantemente da bersaglio: il paese dei «falsi positivi», di 6 milioni di sfollati e di 920.000 scomparsi…

«Se va bene al Venezuela, va bene anche alla Colombia, perché qui vivono 5.600.000 colombiani che studiano, lavorano e vivono con noi», ha detto Maduro spiegando i passi diplomatici compiuti con Santos per ridurre il traffico illegale col paese vicino. Una piaga evidenziata anche dalla decisione di ritirare dalla circolazione le banconote da 100 bolivar presa all’improvviso da Maduro.

È risultato che oltre 2.000 milioni di biglietti, ossia il 14% del denaro dei venezuelani si trovava a Bogotà. Dalla metà del 2015, la scarsità di effettivo, soprattutto delle banconote da 100 bolivar si è fatta sempre più evidente, provocando le famose code. Al contempo, è proliferato sempre più il mercato nero, dove l’effettivo si paga al di sopra del suo valore in forza del cambio gonfiato arbitrariamente dal sito Dolartoday.

Oltrefrontiera, funziona così: un tizio va in un ufficio di cambio a Cucuta e cambia 100 bolivar per l’equivalente di 110 pesos colombiani. Da lì il denaro va alla Banca della Repubblica di Colombia (Bcr), dove in forza di un decreto speciale, viene cambiato (attualmente) a 29.646 pesos, per un equivalente di 10 dollari. Poi, il tizio torna alla frontiera e cambia i 10 dollari con i bolivar: questa volta, però, al mercato illegale, che dà oltre 2.500 bolivar per un dollaro. Un mercato che, se le disposizioni speciali, in Colombia, non cambiano, potrebbe continuare anche con l’introduzione di banconote venezuelane di più grosso taglio, che stanno arrivando nel paese.