Primo bilancio, in Venezuela, della simulazione elettorale che ha portato alle urne 500.000 chavisti. L’opposizione non ha partecipato. Intanto, è cominciata la guerra dei sondaggi per le parlamentari del prossimo 6 dicembre. Un appuntamento determinante a cui il chavismo arriva provato: dal fuoco di fila intentato dai poteri forti per farla finita col «socialismo del XXI secolo» e anche dalle contraddizioni interne, inevitabili dopo 16 anni di governo. Le parlamentari non hanno mai troppo entusiasmato gli elettori venezuelani, che di solito fanno registrare partecipazioni record, anche oltre l’80%.

Questa volta, però, una forte astensione avrebbe un particolare peso politico, e consentirebbe all’opposizione – data comunque solo al 19% contro un 40% dei socialisti da un’inchiesta di Hinterlaces – di riprendere la campagna per sfiduciare il presidente. La costituzione venezuelana prevede infatti la possibilità di revocare il capo di stato alla metà del suo mandato, previa convocazione di un referendum. L’opposizione ci provò – perdendo – già ai tempi di Chavez e ora potrebbe farlo l’anno prossimo con Maduro. Il presidente ha proposto la firma di un patto ufficiale per riconoscere i risultati, quali che siano. Ma le aree più agguerrite delle destre non ci stanno e, se non andrà come sperano, si preparano a gridare ai brogli. E’ andata così durante l’elezione di Maduro a presidente, che ce l’ha fatta con uno stretto margine di voti sul candidato delle destre, Henrique Capriles.

Questi non ha gradito, ha invitato i suoi a «sfogare la rabbia» e le violenze post-elettorali hanno lasciato un saldo di 11 chavisti ammazzati, molti feriti e attentati a dispensari e case popolari. L’anno scorso, l’opposizione oltranzista capeggiata da alcuni leader delle destre – Maria Corina Machado, Antonio Ledezma, Leopoldo Lopez, Daniel Ceballo – ha lanciato la campagna «la salida» (l’uscita) per cacciare con la forza il presidente dall’incarico. Il saldo è stato di 43 morti e oltre 850 feriti.

Come istigatore di quelle violenze e a seguito di un processo che ha scatenato un coro di proteste fra i suoi sostenitori internazionalii, dagli Usa alla Spagna, è stato condannato a oltre 13 anni Leopoldo Lopez. Ma ora uno dei procuratori che ha istruito l’inchiesta è fuggito negli Stati uniti e sostiene di aver subito pressioni dal governo.

A una corte federale degli Stati uniti (quella di Delaware, che si trova nell’est) si è rivolto anche lo studio Squire Pattn Boggs, che rappresenta la Banca centrale del Venezuela. I legali denunciano gli amministratori del sito Dolar Today chiedendo che cessi di pubblicare informazioni false sui tassi di cambio che non corrispondono agli indicatori ufficiali. Dolar Today, che sarebbe diretta da alcuni banchieri fuggiti a Miami coi soldi dei contribuenti e ricercati dal Venezuela, ha il potere di destabilizzare l’economia venezuelana. Ogni giorno, presenta infatti una tassa di cambio illegale che calcola il dollaro oltre 130 volte di più a quello che è il tasso di cambio ufficiale.

Per evitare le stratosferiche fughe di capitale, il Venezuela chavista ha introdotto un controllo cambiario nel 2003 e attualmente l’80% della divisa per l’economia è erogata dal Centro nazionale di commercio estero (Cencoex) a un tasso preferenziale di 6,30 bolivar per dollaro. Un’agevolazione che riguarda i prodotti di prima necessità. Esiste poi il Sicad 1 che offre 220 milioni di dollari a settimana ai settori produttivi specifici che partecipano all’asta con un tasso che va dai 10 ai 12 bolivar per dollaro. Il Sicad 2, consente invece transazioni libere attraverso banche e uffici di cambio. Ma gran parte delle grandi imprese truffa e spera di rimettere l’orologio indietro. E c’è chi prende accordi per il ritorno dell’Fmi, come sta facendo il miliardario Lorenzo Mendoza, proprietario della Polar.