Maria Alejandra Diaz è esperta in diritto costituzionale. Avvocata, docente e opinionista, conduce un programma televisivo molto seguito in Venezuela, «Ley del pueblo». L’abbiamo incontrata a Caracas e poi l’abbiamo sentita al telefono dopo la sentenza del Tribunal Supremo de Justicia (Tsj), che ha reso inoperante l’impeachment contro Maduro.

Il 9 gennaio, il Parlamento a maggioranza di opposizione ha votato la destituzione del presidente per «abbandono assoluto dell’incarico». Perché il Tsj lo ha bocciato?
Per ragioni di merito e di metodo. Intanto, perché il presidente è nel pieno esercizio delle sue funzioni: il 4 gennaio ha deciso un rimpasto di governo, nominando un vicepresidente e 11 ministri, l’8 ha decretato un aumento del 50% di pensioni e salario minimo, e sta mantenendo appieno le garanzie sociali che caratterizzano le politiche della rivoluzione bolivariana. Ha concluso uno storico accordo sui prezzi del petrolio tra i paesi Opec e non Opec, esercita le presidenze di alcuni prestigiosi organismi internazionali come Unasur o Monoal. Inoltre, questo Parlamento è stato dichiarato «in disobbedienza» dal Tsj, per aver voluto includere tre deputati sotto inchiesta per brogli. Le sue decisioni sono illegittime. Di più: la destituzione del presidente richiede il parere favorevole del potere Legislativo, Cittadino e Giudiziario.

Perché questo scontro di poteri?
La costituzione del 1961, rimasta in vigore durante la IV Repubblica, attribuiva un ruolo determinante al potere Legislativo, nonostante avessimo, anche allora, un modello presidenzialista. Prima, il Tsj interveniva di rado nel merito. Lo ha fatto solo 4 volte. L’ultima, annullando una sentenza su quello che oggi si chiama femminicidio. Fino ad allora, un uomo poteva uccidere impunemente una donna adultera se gli aveva procurato «un intenso dolore». Con la costituzione del ’99, si dà un cambiamento storico, un cambiamento di modello politico, un passaggio dalla democrazia rappresentativa a quella partecipativa e protagonista che implica un diverso modo di intendere e interpretare la Costituzione, una diversa ingegneria costituzionale. Un modello mutuato per alcuni aspetti da quello statunitense, ma che attinge anche a molti elementi del costituzionalismo francese e spagnolo. Da noi vi sono 5 rami del potere pubblico, che riconducono al presidente della Repubblica, mantenuti in completo equilibrio da un sistema di pesi e contrappesi che impedisce a uno di prevalere sull’altro e che prima non esisteva. E’ questo che non vuole riconoscere l’opposizione, e preme per far prevalere le decisioni del legislativo, creando continue controversie con l’organo deputato a mantenere l’equilibrio fra i poteri, il Tsj, e cercando di far passare leggi contrarie ai principi della costituzione e favorevoli agli speculatori. Stiamo mettendo alla prova il nostro modello costituzionale, ci troviamo di fronte a situazioni inedite e così certe sentenze fanno giurisprudenza.

Perché contro Chavez si è potuto fare il referendum revocatorio e contro Maduro no?
La Costituzione contempla la possibilità di revoca per il presidente e per tutte le cariche elettive a metà mandato e a determinate condizioni. Nel 2004, quando l’opposizione lo ha attivato contro Chavez, non c’erano le norme tecniche per regolare l’esercizio di quel diritto, messe in campo per il referendum costituzionale del 2007, che il chavismo perse di misura. Norme che l’opposizione non ha contestato. Già nel 2003, si cercò di far passare la revoca con un referendum consultivo attraverso un emendamento alla costituzione per via parlamentare. Allora, il chavismo era in maggioranza per solo un voto: a causa dei numerosi cambi di casacca avvenuti dopo il golpe dell’anno prima contro il presidente. Il Tsj lo dichiarò inammissibile. Il revocatorio, vinto da Chavez nel 2004, durò 319 giorni dal momento in cui fu sollecitato. Nel 2007, si sono svolti 10 referendum revocatori in altrettanti municipi e ci sono voluti 200 giorni per prepararli. La verità è che, questa volta, l’opposizione non ha rispettato i termini, ci ha messo tempo prima di attivare il meccanismo, pensando che, dopo aver vinto le elezioni poteva liberarsi di Maduro per altre vie. E dopo vi sono state frodi nella raccolta di firme, ampiamente documentate. Hanno fatto votare anche i morti. Una pratica comparsa anche nel 2004, quando annunciarono di aver raccolto 27 milioni di firme mentre i cittadini allora erano 25 milioni e ovviamente non tutti abilitati a votare. Chavez decise di soprassedere e di andare avanti comunque. Ma lo fece 9 mesi dopo aver lanciato i piani sociali, le Misiones, la sua popolarità era aumentata dal 30% al 60%. Perché si dovrebbe obbligare Maduro a fare harakiri per favorire una banda senza un vero progetto di paese?

Per l’opposizione è il socialismo ad aver fallito, mentre le aree più radicali dicono che non ce n’è abbastanza e non gradiscono il dialogo con gli imprenditori. E intanto i prezzi dei prodotti sono alle stelle.
Non siamo nel socialismo, stiamo cercando di arrivarci. E’ impossibile creare ricchezza senza la collaborazione di un settore privato che la generi e che dev’essere alleato dello stato e controllato, perché il capitalismo è vorace. Le speculazioni sono parte della guerra economica, ma vi è anche una scarsa cultura del consumo consapevole da parte dei cittadini, che non esercitano il diritto al boicottaggio. Purtroppo, è difficile controllare 500.000 punti vendita, a meno di non voler trasformare il paese in un carcere. Con Chavez si è messo in campo un nuovo soggetto storico, ma solo quando prenderà forma un soggetto sociale consapevole il proceso bolivariano sarà irreversibile. Chi pensa di interpretare il verbo di Chavez e poi finisce per coincidere con le destre, non capisce il momento storico: al chavismo muovo molte critiche, ma solo uniti si vince.