Nervi tesi, in Venezuela per «la gran toma de Caracas» (la presa di Caracas), convocata per oggi dall’opposizione. Una prova di forza, nel paese e fuori, che per molti potrebbe anche finire male. In gioco, sempre la cacciata del presidente Nicolas Maduro. Un obiettivo che la Mesa de la Unidad Democratica (Mud, il cartello antichavista risultato maggioritario in Parlamento) potrebbe provare a raggiungere per la via legale, come prevede la Costituzione. Esaurita con profitto (e una montagna di brogli) la prima fase, ora il Consejo Nacional Electoral (Cne) ha stabilito le date per il secondo passaggio: dal 24 al 30 ottobre. In quella settimana, 3 giorni verranno dedicati alla raccolta delle firme necessarie per attivare il referendum. La Mud dovrà raccogliere il voto del 20% degli iscritti nelle liste elettorali di ognuno dei 23 Stati (più il distretto federale) di cui si compone il paese.

Il Cne ha più volte illustrato i tempi e le tappe previste dalla Costituzione per il referendum, già messo in moto (e perso) una volta contro Hugo Chavez. Le destre, però, vogliono saltare le tappe e arrivare al voto quest’anno. In quel caso, il presidente verrebbe sospeso dall’incarico e si andrebbe a nuove elezioni. Se, invece, venissero rispettati i tempi e il referendum avesse luogo l’anno prossimo, in caso di sconfitta del presidente, a concludere il mandato fino al 2019 sarebbe il suo vice, Aristobulo Isturiz. E proprio quest’ultimo ha denunciato le manovre pretestuose delle opposizioni, che non vogliono allentare «l’operazione tenaglia».

Il riferimento è a un documento militare del Pentagono, portato in luce dalla stampa, intitolato Operacion Venezuela Freedom-2 e firmato dall’ammiraglio Kurt Tidd, del Comando Sud degli Stati uniti. Nel capitolo «accerchiamento e asfissia» si descrivono le tappe dello strangolamento – economico, politico e mediatico – messo in atto contro Maduro, e il copione pensato per la Mud: «l’agenda comune» accordata per combinare «azioni di piazza con l’impiego calibrato della violenza armata».

Il documento delinea i contorni della «guerra non convenzionale», centrata su una «strategia di isolamento e discredito internazionale» per presentare quello venezuelano come un «sistema non democratico che non rispetta l’autonomia dei poteri». Un sistema fallito che ha provocato «crisi umanitaria». Azioni che mirano «alla creazione di un clima propizio all’applicazione della Carta democratica dell’Osa)». Un proposito che Luis Almagro, Segretario generale dell’Osa sta cercando di attuare con uno zelo fuori dal comune, assumendo in pieno i discorsi dell’opposizione. Un atteggiamento che ha provocato le proteste dell’America latina progressista.

Ieri, sono arrivati a sorpresa a Caracas i mediatori della Unasur, guidati dall’ex presidente spagnolo Zapatero: per invitare nuovamente al dialogo. Preoccupazione anche dai paesi dell’Alba, che hanno lanciato un «allarme» alla comunità internazionale. Il governo ha annunciato di aver arrestato «90 paramilitari» pronti a entrare in azione: anche attaccando i manifestanti di opposizione come durante il golpe contro Chavez del 2002. Sabato prossimo, a Roma (ore 17, Fori Imperiali, di fronte al Metro B), la rete Caracas Chiama organizza un presidio di solidarietà, insieme a un arco di movimenti, associazioni, sindacati e partiti della sinistra di alternativa.