Un’«invenzione» del regime, l’ultima di una serie di cui «si è perso il conto». Così l’autoproclamato presidente ad interim Juan Guaidó ha liquidato l’annuncio da parte del ministro della Comunicazione Jorge Rodríguez di un nuovo tentativo di golpe, sventato dal governo attraverso un’operazione di intelligence durata 14 mesi.

L’ATTUALE PRESIDENTE dell’Assemblea nazionale ha in questo caso un ulteriore motivo per negare tutto: quello di salvaguardare la propria immagine di leader di un’opposizione unita attorno alla sua figura. Perché, in base alle rivelazioni del ministro, il colpo di stato che avrebbe dovuto aver luogo il 23 e 24 giugno mirava in realtà a insediare alla presidenza non lui, ma il generale Raúl Isaías Baduel, a conferma delle profonde e in realtà ben note divisioni all’interno della destra venezuelana.

Ma per quanto Guaidó smentisca, e la grande stampa esprima come al solito scetticismo riguardo alla denuncia del governo bolivariano, i primi materiali audio e video divulgati da Rodríguez – solo una piccola parte delle 56 ore di registrazione in possesso del governo – lasciano pochi dubbi riguardo al tentato golpe.

I dubbi, semmai, riguardano proprio il ruolo dell’autoproclamato presidente, su cui nemmeno gli autori del piano – militari attivi e in congedo ed ex poliziotti – sembravano concordare. «Litigavano per determinare chi dovesse guidarli – ha evidenziato il numero 2 del chavismo Diosdado Cabello -, non sapevano se allinearsi o meno a Guaidó».
Così, per esempio, il generale di brigata Miguel Carmelo Sisco, una delle 13 persone finora arrestate, giustificava l’assassinio anche di «migliaia di persone» con la necessità di imporre «Guaidó come presidente del Venezuela». Viceversa, durante una videochiamata con un non meglio identificato “Atanasio”, il figlio di Baduel, Josnar Adolfo Baduel Oyoque, alias Simón, si riferisce a Guaidó e a Leopoldo López, il leader del partito di estrema destra Voluntad Popolar, come a una «falsa opposizione» mossa da «interessi personali», aggiungendo, a proposito dell’autoproclamato presidente: «Se lo teniamo legato non prenderà il potere».

STESSA DIFFIDENZA viene espressa da “Simón” anche nei confronti dell’ex generale Eduardo José Báez Torrealba, il quale avrebbe diretto la trama golpista dalla Repubblica Dominicana: il figlio di Baduel lo descrive come un uomo di Leopoldo López, a sua volta mentore politico di Guaidó.

Non è chiaro, in questo quadro, se il progetto di imporre Baduel alla presidenza, dopo averlo liberato dal carcere del Sebin, il Servizio di intelligence bolivariano in cui è attualmente rinchiuso per il reato di istigazione alla ribellione (dopo aver scontato una precedente condanna per appropriazione indebita di denaro pubblico), fosse noto a tutti i partecipanti al piano golpista o non rientrasse piuttosto in una cospirazione “secondaria”. Quel che si sa è che l’ex ministro della Difesa di Chávez, il generale noto per aver guidato l’operazione che gli aveva restituito il potere dopo il golpe dell’11 aprile del 2001, appartiene a una fazione dell’opposizione ostile all’autoproclamato presidente Guaidó.

CHE I VELENI SCORRANO A FIUMI tra le fila della destra lo aveva del resto evidenziato lo stesso segretario di Stato Usa Mike Pompeo, definendo «dannatamente difficile» – durante un recente incontro a porte chiuse a New York di cui il Washington Post ha ottenuto l’audio – il compito di unire l’opposizione venezuelana. «Nel momento in cui Maduro uscirà di scena – aveva aggiunto – tutti alzeranno la mano e diranno: “Prendi me, sono io il prossimo presidente del Venezuela”».

Ma al di là di chi dovesse prendere il posto del presidente bolivariano, la trama golpista prevedeva in ogni caso un bagno di sangue. Come confermano i materiali finora divulgati, il nuovo tentativo di colpo di stato, portato avanti con il sostegno di potenze straniere (Cile e Colombia, oltre naturalmente agli Usa) e persino con il supporto di agenti israeliani, implicava l’assassinio di Maduro, di sua moglie Cilia Flores, di Diosdado Caballo, del presidente del Tribunale supremo di giustizia Maikel Moreno e di quelli che “Simón” definisce durante la videochiamata «i due Tareck» – il ministro dell’Industria Tareck El Aissami e il procuratore generale della Repubblica Tarek William Saab, entrambi di origine araba -, presi di mira dagli israeliani, sempre secondo il figlio di Baduel, «per questioni religiose».

MA NON SOLO: il piano prevedeva anche, insieme al sequestro di diversi alti funzionari governativi, l’assassinio di un numero imprecisato di leader sociali, in particolare nel quartiere simbolo chavista “23 de enero”. «Non si tratta di ipotesi o congetture – ha insistito il ministro Rodríguez – ma di prove e testimonianze».