«Prima o poi ci siederemo al tavolo dei negoziati. Sono sicuro che sarà così», ha dichiarato il presidente Maduro in un’intervista concessa a La Jornada, dicendo di confidare nell’aiuto del Messico e dell’Uruguay, dei paesi amici, del Gruppo di contatto internazionale (Gci) creato dall’Unione europea «e magari anche del Vaticano». Le probabilità che questo avvenga appaiono tuttavia molto basse.

Il «Meccanismo di Montevideo» – la proposta in quattro tappe, e senza condizioni previe, avanzata dal Messico e dall’Uruguay per una soluzione «integrale e duratura» della crisi venezuelana – non è stato di fatto accolto dal Gruppo di contatto, il quale di condizioni – a favore di Guaidó – ne ha invece imposte due: la convocazione di nuove elezioni presidenziali e l’ingresso nel paese degli aiuti umanitari, considerati dal governo un tentativo di invasione mascherata.

NELLA DICHIARAZIONE APPROVATA al termine della conferenza internazionale di giovedì, il Gci ha annunciato così l’invio di una «missione tecnica» in Venezuela per stabilire «i contatti necessari» con il governo e con l’opposizione al fine di definire «le garanzie necessarie per un processo elettorale credibile, nel minor tempo possibile», e di aprire urgentemente le porte all’assistenza umanitaria.

Una dichiarazione assai diversa dalla versione circolata precedentemente sulla stampa locale, in cui il Gci, senza fare accenno né alle elezioni né agli aiuti, e ammettendo l’esistenza di «posizioni politiche diverse», esprimeva la disponibilità a «lavorare insieme al Meccanismo di Montevideo» allo «scopo di incontrare una soluzione pacifica e democratica». Cosicché, nel passaggio dalla prima bozza al testo ufficiale, la Bolivia ha ritirato il suo assenso alla dichiarazione, aderendo formalmente alla proposta del Messico e dell’Uruguay, appoggiata anche dai 14 paesi del Caricom, la Comunità caraibica.

«NON POSSIAMO sottoscrivere un testo che fa riferimento al processo elettorale», ha spiegato il ministro degli esteri boliviano Diego Pary, in quanto sono i venezuelani «che devono prendere atto delle proprie difficoltà e definire i modi per risolverle»

Sia gli uni che gli altri, tuttavia, sembrano fare i conti senza l’oste, quello a stelle e strisce, deciso a portare avanti ad ogni costo l’assedio contro il governo Maduro sulla triplice base dello strangolamento economico, dell’isolamento politico e delle minacce di invasione. In questo senso, l’inviato speciale degli Usa in Venezuela, il superfalco Elliott Abrams, ha scartato qualsiasi possibilità di dialogo tra le parti, negando il sostegno degli Stati uniti al Gruppo di contatto della Ue e annunciando per di più nuove sanzioni contro i deputati dell’Assemblea nazionale costituente.

Sul fronte della cosiddetta assistenza umanitaria Usa – uno «show» del valore di 20 milioni di dollari rispetto ai 18 miliardi sottratti al paese con le ultime sanzioni -, forti polemiche ha scatenato la denuncia su Twitter del segretario di stato Mike Pompeo, il quale ha accusato l’esercito venezuelano di bloccare gli aiuti diretti al «popolo affamato», postando la foto del ponte Tienditas – quello che collega la città colombiana di Cúcuta con quella venezuelana di Ureña – bloccato da due grandi container e dal rimorchio di un camion.

IN REALTÀ QUEL PONTE non è mai stato aperto: lo aveva voluto Hugo Chávez per rafforzare i legami economici con la Colombia, ma il governo di quel paese non ha mai proceduto a costruire la parte che gli spettava. E i militari venezuelani hanno provveduto a bloccarlo fin dal 2016 per impedire il traffico dei contrabbandieri e dei paramilitari colombiani.