“Adesso arrivano i prodotti nei supermercati: partite di maionese scadute, farina prodotta a luglio, medicine. Una prova evidente che si è trattato di merce accaparrata, nascosta per provocare malcontento contro il governo”. Enza Garcia, storica dell’arte e giornalista professionista, mostra al manifesto le foto inviate dai corrispondenti. Enza dirige l’emittente di Caracas Alba Ciudad, 96.3 fm.

Una radio che, al comando di un’agguerrita equipe di reporter e tecnici, conduce inchieste scomode e programmi seguiti, tramite internet, in ogni parte del mondo. Alba Ciudad dipende dal ministero della Cultura, ma “funziona come un medio comunitario, autonomo e vicino ai movimenti. Siamo tutti di sinistra – dice – ma nessuno ha la tessera di un partito. Io vengo da un’esperienza del cristianesimo di base, la radio dei gesuiti Fé e Alegria, l’unica che ha dato notizia di quel che accadeva durante il colpo di stato del 2002”.

Da 14 anni, Enza Garcia conduce anche un seguitissimo programma radio dal titolo La Ventana: una finestra sull’attualità venezuelana vista dai quartieri popolari.

Cosa ha ascoltato dalla sua Finestra, perché i quartieri chavisti sono mancati all’appello?
La sconfitta era nell’aria, ma nessuno immaginava potesse essere di proporzioni simili, tali da consentire all’opposizione di avere la maggioranza qualificata e di mettere le mani sull’Assemblea. Ritardi e titubanze del governo, non hanno saputo contrastare la guerra economica, la propaganda psicologica alimentata dai più diversi allarmi fatti circolare nelle code ogni giorno. Dopo sei ore sotto il sole cocente ad ascoltare gli agitatori parlare male del chavismo, la gente – soprattutto le donne – tornava a casa distrutta, senza voglia di accendere i canali d’informazione, preferendo vedere quelli privati di intrattenimento. In molti hanno finito per guardare con disinteresse, o con fastidio, anche la consegna di case, di computer e di tablet agli studenti, mentre venivano taglieggiati dagli alti prezzi e denunciavano inutilmente la corruzione esistente nelle reti governative.

Il Psuv, anziché concentrarsi sulla campagna elettorale, avrebbe dovuto investire di più su questi problemi, smascherare corrotti e conniventi, invece lo ha fatto con ritardo. Il proceso bolivariano ha cambiato il volto del paese, ma in molti hanno continuato a sabotare dall’interno. In certe sue parti, il Psuv ha mantenuto il funzionamento clientelare della IV Repubblica, ha una struttura modello Accion Democratica. Vi sono sindacati corporativi che non pensano al bene comune, ma solo a mungere di più lo stato. Per questo, Chavez ha spinto per l’organizzazione dei Consigli e delle Assemblee dei lavoratori.

Quando il Banco Central è stato nazionalizzato, tutti hanno conservato il posto di lavoro e ho visto molti funzionari andare in ufficio con la spilletta del Banco Santander. E anche nei supermercati Bicentenario parte della direzione amministrativa è rimasta fedele ai padroni di prima. Nel quartiere Catia, dov’è presente un mercato comunale che dipende dal municipio, si è speculato sui prezzi e gli accaparratori erano dappertutto. Nel 23 Enero ha agito il voto castigo promosso da alcuni collettivi e componenti anarchiche: che a parer mio hanno atteggiamenti infantili, una sinistra da tavolino che litiga per scrivere documenti ma non sa lavorare nelle comunità. Noi dicevamo: attenzione che così ci castighiamo da soli, ma solo ora il popolo degli astenuti si è reso conto delle conseguenze.

E sta tornando in piazza per ricostruire la riscossa contro una destra che vuole smontare lo stato sociale, cambiare la costituzione e cacciare il presidente. Il Psuv resta però il primo partito del paese, con il 41%. Primero Justicia, il più votato del cartello di opposizione, segue a venti punti di distanza. Nel complesso, l’opposizione è aumentata di poco. C’è stata una disaffezione al voto a scapito del chavismo. E’ mancato quello dei più giovani, cresciuti nella rivoluzione, per i quali essere di opposizione corrisponde a uno status. Hanno studiato, si sono laureati grazie al socialismo. Oggi siamo secondi in America latina per matricole universitarie e quinti nel mondo. Ma non sopportano l’etichetta di “marginali” che l’opposizione attribuisce al chavismo. Un’amica che lavora tutto il giorno per aiutare i genitori malati, ha un fratello laureato che non aiuta in famiglia perché lo considera disdicevole per un professionista. Il povero che ora si sente classe media si identifica con le classi dominanti per ottenere maggiori vantaggi o per paura di perderli. Per quanto riguarda il voto indigeno – il chavismo ha un deputato sui 3 previsti – hanno giocato le differenze interne alle varie popolazioni, e una difficile situazione di frontiera con gli Yupka, che hanno avuto tanti morti a causa dei latifondisti.

Qual è il suo giudizio sui media venezuelani?
L’imparzialità è un’ipocrisia. L’osservazione della realtà è filtrata dai modelli e dagli strumenti che agiscono nella mente del giornalista, frutto della sua storia. Questo è ancora più evidente in una società polarizzata come la nostra, in cui l’informazione è prevalentemente gestita dal sistema privato. I giornalisti sono militanti politici. Chi lavora per i grandi gruppi occulta il lavoro positivo che ha fatto lo stato, enfatizza i difetti della parte avversa e tace sui propri padroni o committenti pubblicitari. Dall’altra, i giornalisti sono a volte poco reattivi. Prima di tutto, contano i principi base del giornalismo, raccontare i fatti confrontando le opinioni per consentire al lettore di formarsi la sua: anche a costo di subire le critiche di quella parte del popolo che ci rimprovera di dare spazio alla parte avversa, che ne ha già tanto di suo. I media comunitari, per questo, sono preziosi, anche se scontano lo snobismo dei giornalisti titolati, laureati nelle scuole. Ora la legge della comunicazione popolare, approvata dal parlamento ancora chavista dà più norme e protezione alla comunicazione alternativa. E tutti siamo in mobilitazione permanente, pronti a parare i colpi di una destra aggressiva che vuole metterci il bavaglio.