È una festa a metà per il governo Maduro. La sua vittoria alle elezioni parlamentari di domenica, tanto scontata quanto netta (con 67,6% dei voti), è infatti inevitabilmente offuscata dalla bassa affluenza, pari al 31% degli elettori.

Nessuno si aspettava una partecipazione record (addiritura oltre il 73%) come quella registrata alle parlamentari del 2015 – quando l’opposizione si presentò compatta strappando al chavismo la maggioranza della Assemblea nazionale -, tanto più nell’attuale contesto di pandemia. Piuttosto, il termine di confronto utilizzato dalle forze filogovernative è quello delle parlamentari del 2005, anch’esse boicottate, in quel caso unanimemente, dalle destre: l’affluenza fu allora del 25%, 6 punti in meno rispetto a quella di domenica.

Ma, considerando la posta in gioco di queste elezioni, presentate dal governo come l’occasione per dare inizio a un nuovo ciclo politico, mettendo fine al sequestro dell’Assemblea nazionale da parte dell’opposizione golpista manovrata dagli Stati uniti, non si tratta di una grande consolazione.

Né, soprattutto, il dato della partecipazione è tale da mettere a tacere tanto l’estrema destra – che proprio sulla bassa affluenza contava per liquidare le elezioni come una farsa – quanto quella parte della comunità internazionale, compresa l’Unione europea, che non ha riconosciuto la legittimità del processo elettorale.

Una decisione, quella della Ue, apparsa da più parti del tutto arbitraria, a fronte delle garanzie offerte da un sistema elettorale ritenuto tra i più affidabili al mondo e della partecipazione di un ampio settore dell’opposizione, a cominciare dalle due coalizioni della destra moderata Alianza Democrática (giunta seconda con il 17,95% dei voti) e Venezuela Unida (terza con il 4,19%).

Sull’affluenza, tuttavia, l’appello a «restare a casa» da parte di Guaidó e delle forze che lo sostengono c’entra molto poco, considerato il discredito che ha investito la destra golpista di fronte alla lunga serie di fallimenti, scandali e divisioni accumulata nel corso del tempo. Quella destra che ieri ha dato il via alla consultazione popolare per la «fine dell’usurpazione» di Maduro – questa sì realmente una farsa – che si prolungherà fino al 12 dicembre, nella totale assenza di garanzie e di controlli, al solo fine di giustificare il prolungamento della fantomatica presidenza ad interim dell’autoproclamato.

A spiegare la bassa partecipazione di domenica è, piuttosto, la crescente disaffezione per il «madurismo», non spiegabile solo con la stanchezza generata da una crisi economica che non sembra aver fine, in gran parte indotta, com’è noto, dall’embargo imposto dagli Usa.
A erodere l’appoggio della popolazione a Maduro sono infatti anche una sempre più accentuata tendenza autoritaria da parte del governo, l’innegabile deriva borghese della rivoluzione bolivariana, la sua distanza sempre più netta dagli ideali chavisti. Tutti fattori emersi anche dalla recente approvazione, da parte dell’Assemblea nazionale costituente, della controversa «Ley Antibloqueo», destinata, secondo i suoi numerosi critici, ad aprire la strada alla liquidazione delle risorse del paese, alla privatizzazione delle imprese statali, alla cessione dell’industria petrolifera al capitale transnazionale e alla concentrazione del potere nell’esecutivo.

Ed è di certo una spia di tale malessere la decisione di un insieme di forze chaviste, raccolte nell’Alternativa Popular Revolucionaria (Apr), di correre per conto proprio alle parlamentari, rompendo così l’unità del fronte bolivariano, in polemica con una politica interna tagliata su misura della cosiddetta «borghesia rivoluzionaria».

E se è vero che l’Apr, che si è presentata dietro l’insegna del Partido Comunista (Pcv), l’unico abilitato a partecipare, ha raccolto un magro bottino – solo il 2,73% dei voti -, a pesare sul suo risultato è stato certamente anche il «brutale» assedio da parte del madurismo sofferto, secondo il leader di Izquierda Unida Félix Velásquez Castillo, dalla coalizione della sinistra chavista.

Un’ostilità che si è per esempio riflessa, proprio domenica, stando alla denuncia espressa dal Pcv via Twitter, nell’irruzione della polizia nella sede del partito, a Valmore Rodríguez, nello stato di Zulia, con tanto di arresto di alcuni militanti.