Diosdado Cabello nel mirino della Dea, l’agenzia antidroga federale Usa. Il presidente del parlamento venezuelano sarebbe sotto inchiesta per narcotraffico insieme ad altri alti funzionari del suo governo, presieduto da Nicolas Maduro.

Lo ha affermato un articolo del Wall Street Journal, subito ripreso da El Pais e dai suoi ripetitori nostrani. Tutto parte da una “inchiesta” di Abc, il giornale conservatore che, in Spagna, amplifica rumori e campagne delle destre nordamericane e europee.

Quarto dei cinque gruppi mediatici che controllano il 95% dell’opinione pubblica spagnola, Abc è in prima fila nella “guerra sporca” contro il Venezuela e i paesi progressisti dell’America latina. A fine gennaio, ha riportato le affermazioni di un ex caposcorta di Cabello, fuggito negli Usa e ora testimone sotto protezione (il manifesto ne aveva parlato in un articolo del 4 febbraio).

Si tratta dell’ex capitano Leamsy Salazar, che a dicembre sarebbe corso in braccio alla Dea non prima di aver fatto scalo in Spagna per diverse settimane. In base alle sue dichiarazioni, riportate in pompa magna da Abc, Cabello sarebbe a capo di una vasta rete di narcotraffico gestita dal cartello di los Soles, composto principalmente da militari.

Una rete che dirotterebbe il traffico di droga, proveniente dalla Colombia e gestito dalle Farc, verso gli Stati uniti e l’Europa. E con la complicità di militari cubani. Sotto accusa come gestore delle finanze sporche, un fratello del presidente del parlamento venezuelano, che sovrintende all’agenzia tributaria e delle dogane (Seniat). Il denaro verrebbe “lavato” attraverso l’impresa petrolifera di Stato Pdvsa, e per questo è stato chiamato in causa anche Rafael Ramirez che l’ha diretta fino al 2014, prima di essere nominato ambasciatore al Consiglio di sicurezza Onu.

Ciliegina sulla torta, l’accusa di legami con “il terrorismo islamico” per il governatore dello stato Aragua Tareck el Aissami. Affermazioni che Abc mette in relazione con quelle di altri “profughi della giustizia” venezuelana, alti papaveri fuggiti negli Usa con i soldi dei contribuenti.

Mafia, droga e terrorismo… Il solito quadro per giustificare attacchi e sanzioni, debitamente preparato dalla propaganda mediatica. Mancano solo le armi chimiche, già evocate in alcune fiction di marca Usa (che hanno suscitato le proteste venezuelane e le relative scuse dei produttori).

L’articolo di Abc è servito a sostenere la furibonda campagna delle destre nordamericane che ha portato al decreto Obama, emesso il 9 marzo contro il Venezuela: nel quale il presidente Usa ha definito il governo Maduro “una minaccia eccezionale” per la sicurezza del suo paese. Un tentativo per imporre anche a Cuba un cambio di indirizzo nei confronti di Caracas, come contropartita per il proseguimento del “disgelo” con gli Usa, iniziato il 17 dicembre.

Dai cinque continenti si sono però raccolte firme per chiedere a Obama di riconoscere l’insensatezza del provvedimento: emesso nei confronti di un paese di pace che, contro venti e maree, consacra il grosso dei proventi petroliferi agli investimenti sociali. Al VII vertice delle Americhe, che si è svolto a Panama l’11 e 12 aprile, gli Usa sono rimasti soli con il Canada, ma il provvedimento non è rientrato. Anzi.

Gli sponsor di quei golpisti venezuelani come Leopoldo Lopez o Maria Corina Machado, che prima ci hanno provato contro Chavez, sono stati amnistiati e ora ci riprovano contro Maduro, hanno annunciato un inasprimento del decreto Obama. E in questo quadro si può leggere questo nuovo siluro mediatico.

Cabello ha sporto querela e per questo è stato accusato di voler imbavagliare la stampa (che in Venezuela è prevalentemente in mano ai grandi gruppi privati). Maduro ha denunciato che la Spagna “del razzista” Rajoy capeggia l’aggressione contro il suo paese. Ne è seguita una crisi diplomatica.

Durante una visita ufficiale a Caracas, il ministro degli Esteri palestinese, Riad al Malki, ha detto di aver incontrato in Vaticano il capo della diplomazia spagnola, Jose Manuel Garcia-Margallo, che gli ha chiesto di mediare tra Caracas e Madrid, e di essere disposto a farlo.

A ottobre, Rajoy ha ricevuto Lilian Tintori, moglie di Leopoldo Lopez, sotto processo per le violenze dell’anno scorso e non ha lesinato commenti malevoli contro il governo Maduro. Ma contro il socialismo venezuelano si evidenziano le “larghe intese” tanto in uso in Europa. Ex presidenti di estrema destra e di “centro-sinistra” hanno firmato un appello in favore dei golpisti in carcere. Felipe Gonzalez, che ha reiterato la sua intenzione di difendere Lopez e di tornare in Venezuela nonostante il parlamento lo abbia dichiarato “persona non grata”, capeggia la carovana dalla Spagna.

E dai media spagnoli, grandi sponsor dell’ex candidato antichavista Henrique Capriles, è ripartita la campagna elettorale contro la sinistra venezuelana: in vista delle parlamentari, che si terranno nell’ultimo trimestre del 2015. Il partito di Capriles, Primero Justicia, ha vinto le primarie dell’opposizione, riunita nel cartello della Mesa de la Unidad democratica. Un’elezione scarsamente partecipata, segnata dalle polemiche interne per i collegi blindati e caro-pagata dai candidati, a cui sono state richieste forti somme. Ma per i grandi media, che da anni insistono per rendere accettabile e appetibile il litigioso campo dell’opposizione, si è trattato di un successo promettente: per il ritorno in tromba del neoliberismo.