Oggi, in Venezuela, si ricordano  i 26 anni dalla rivolta popolare contro il carovita detta il Caracazo. Tra il 27 e il 28 febbraio del 1989, una folla affamata e inferocita scese dai quartieri poveri della capitale: per protestare contro gli stratosferici aumenti decisi dal governo di Carlos Andrés Pérez (centrosinistra) su indicazione del Fondo monetario internazionale. Il governo diede ordine ai soldati di sparare e il risultato fu di circa 3.000 morti. Ufficialmente, le vittime furono meno di 300, ma con l’arrivo al governo di Hugo Chavez, 10 anni dopo, si cominciarono a scoprire le fosse comuni. E finora il governo ha risarcito quasi 600 famiglie.

Quest’anno, la prevista manifestazione si svolge in un clima di alta tensione. La destra di opposizione ha cercato fino all’ultimo di volgere a proprio vantaggio i contenuti e i ricordi del Caracazo, paragonando la crisi di allora ai problemi di cui soffre oggi il paese. E poco importa se quelli che protestavano allora (quando il 47,5% della popolazione era sotto la soglia di sussistenza), oggi non hanno più ragione di farlo, mentre a fare le barricate sono gli abitanti dei quartieri agiati. L’arresto del sindaco della Gran Caracas, Antonio Ledezma, ha però complicato le cose.

Ledezma è accusato di complicità in un golpe recentemente sventato, e il suo curriculum di ieri e di oggi occupa da giorni le prime pagine dei giornali. Nell’89 faceva parte di Acción Democratica (Ad) il partito di Pérez, era governatore di Caracas durante il Caracazo e responsabile della Polizia metropolitana che ha tirato sui manifestanti: «Tolleranza zero verso gli incappucciati», dichiarava allora. Di tutt’altro tenore, invece, le sue interviste dell’anno scorso nei confronti degli “incappucciati” che hanno organizzato le proteste violente contro il governo (43 morti e oltre 800 feriti), rispondendo alla campagna per la cacciata violenta di Maduro («la salida»).

Una campagna organizzata da Ledezma e da altri leader dell’opposizione oltranzista come Maria Corina Machado e Leopoldo Lopez (sotto processo per quelle violenze). Quando il fronte chavista scompaginò le tradizionali rappresentanze politiche di allora, ridisegnando il quadro degli schieramenti, Ledezma scelse il campo di opposizione. Nel 2002, partecipò al colpo di stato contro Chavez e alla lunga serrata petrolifera (padronale), insieme ad altri volti noti dell’attuale destra: Machado, Lopez e l’allora suo sodale Henrique Capriles, candidato della Mesa de la Unidad Democratica (Mud) alle ultime elezioni presidenziali e oggi più defilato. Tutti beneficiarono di un’amnistia, ma non persero la passione (dichiarata) per i complotti, benché rappresentino percentuali piccolissime a livello parlamentare (Ledezma ha creato la formazione Alianza Bravo Pueblo).

E tuttavia, dagli Usa alla Spagna, all’Italia, è partita una gigantesca campagna mediatica contro il governo Maduro. I toni sono quelli usati dal Segretario di Stato Usa, John Kerry, che ha detto: «Il Venezuela continua a muoversi nella direzione sbagliata e prendendo decisioni scorrette. Stiamo lavorando con altri (dirigenti di opposizione) per la difesa della democrazia in Venezuela. Adesso tiamo lavorando con il Consiglio di sicurezza nazionale e il Dipartimento del Tesoro per aumentare il più rapidamente possibile le sanzioni. Ho sollevato il problema Venezuela con altri leader della regione».

Maduro, che per oggi ha promesso «annunci importanti» contro la «guerra economica» intentata al suo governo dai poteri forti dentro e fuori il paese, ha affermato: «Se ci attaccano combatterò insieme al popolo e alla Forza armata». A sostenere il socialismo venezuelano, il Movimento dei Paesi Non Allineati, il G77+ Cina, l’Alba, Celac, Unasur e Petrocaribe. Kerry ha anche cercato di accreditare una presunta divergenza tra Caracas e l’Avana, dovuta al «disgelo» in corso tra Usa e Cuba, ma il governo cubano ha ribadito la solidarietà a Maduro.

Al parlamento spagnolo, tutti contro il Venezuela tranne Podemos e Izquierda unida. Il Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon ha espresso «preoccupazione» per il Venezuela, seguito dalle accese dichiarazioni del solito Cardinal Urosa. Anche il neoliberista presidente colombiano, Manuel Santos, impegnato nelle trattative di pace con le Farc all’Avana, si è fatto avanti come «mediatore» con l’opposizione venezuelana: «sono pronto – ha detto – insieme a Perù e a Cile».

Intanto, a Caracas, i due campi politici si preparano alle primarie. Il partito di Lopez, Voluntad Popular, uno dei più accaniti nel denunciare la «parzialità» delle istituzioni venezuelane, ha chiesto al Consejo Nacional Electoral (Cne) di presiedere alle proprie primarie: nonostante la campagna per invalidare le ultime elezioni presidenziali, vinte di misura da Maduro contro Capriles, il sistema di voto è a prova di brogli, e nelle governazioni o nei municipi la destra ha vinto anche per 8-10 voti senza che questo suscitasse proteste nel campo avverso.

E tuttavia, il dibattito ferve anche all’interno delle file chaviste in vista delle parlamentari, la cui data si dovrebbe conoscere la settimana prossima. Dopo la morte di un giovanissimo manifestante (non ancora del tutto chiarita, ma probabilmente frutto di un proiettile di gomma della polizia), torna in primo piano la scomoda posizione del socialismo al potere: chiamato a rendere maggiormente conto quanto più ha a cuore il superamento della disuguaglianza e un’alternativa di sistema.