«Hanno ucciso la Negrita. Le hanno sparato venti colpi. Ni Una Menos». La distanza non attenua il dolore. La donna piange, a Roma, ricevendo la notizia dal Venezuela per whatsap. Jacqueline Delgado, nota come «la Negrita» era una leader comunitaria molto conosciuta, che coordinava anche i Comités Locales de Abastecimiento y Producción (Clap) in vari settori della Valles del Tuy. Un femminicidio politico, commesso nell’ambito delle proteste violente che scuotono il paese come nel 2014. Nello stesso giorno, dei sicari incappucciati hanno ammazzato Emir Ramirez, dirigente sindacale di Ferrominera, nello Stato di Bolivar… I morti sono già 30, ma – come ha preannunciato uno dei capi dell’opposizione, il presidente del Parlamento, Julio Borges – «ce ne saranno altri».

LA LISTA dei morti è indicativa, ma i media mettono tutto sullo stesso conto: quello di una «dittatura» che non accetta di far spazio alla volontà dei «pacifici manifestanti» ormai maggioritaria. Ma è davvero così? Qualche dato induce a riflettere: su oltre 1.000 emittenti radio o tv, il 67% sono private, il 28% gestite dalle comunità e il 5% di proprietà statale. Su 108 quotidiani, 97 sono privati e 11 pubblici. Il 67% della popolazione ha accesso a internet. Non esiste libertà di espressione? Tra il 1958 e il 1998 (anni di democrazia rappresentativa) vi sono state 24 elezioni. Dalla vittoria di Chavez (1998) a oggi, 25, tre con Maduro. E ora è in corso la registrazione dei partiti per le regionali e poi le comunali.

SI VIOLANO i diritti umani? E perché allora a Ginevra, il Venezuela ha passato l’esame annuale dell’Onu? Dice l’analista internazionale Pasqualina Curcio: «La farina di mais precotta è aumentata del 3.700%. Perché gli imprenditori, che hanno ricevuto dal governo dollari a tasso preferenziale e materia prima sottocosto, che hanno aumentato i prezzi di quasi il 4.000% in meno di un anno, vedendo le file, anziché aumentare la produzione l’hanno diminuita dell’80%?».

LA PROCURATRICE generale Luisa Ortega, corteggiata anche dalle destre, ha tenuto una conferenza stampa: «Respingo – ha detto – tutti gli episodi di violenza, sono una donna di pace». Ha raccomandato alle forze dell’ordine di «seguire la procedura prevista per gli arresti» (per due morti ci sono poliziotti in carcere) e accusato degli omicidi le bande armate. Di quale colore? Per i media si tratta dei «collectivos» chavisti. Per la sinistra, si tratta di gruppi paramilitari che compiono omicidi mirati e soprattutto femminicidi politici, perché le donne sono in prima fila nella difesa delle conquiste sociali. Paramilitari, delinquenti, o che altro? Nello scontro, il gioco si fa torbido. «Governo e opposizione – ha detto Ortega – devono tornare al dialogo».

SULLA CARTA, il dialogo è vigente, sotto l’egida dell’Unasur e del Vaticano, e guidato dallo spagnolo Zapatero. Ma la crisi venezuelana presenta molti chiaroscuri. A volere il dialogo sono senz’altro i settori governativi più legati a Maduro, e un’agenda politica era già stata approvata da entrambi gli schieramenti. Vogliono smarcarsi dalle violenze anche settori moderati dell’opposizione, come quelli capeggiati da Henry Falcon, governatore dello Stato Lara, che aspira a essere il candidato presidenziale contro Maduro. Gli altri – dall’estrema destra di Voluntad Popular e di Primero Justicia ai centristi di Accion Democratica – preferiscono la via violenta per cancellare la costituzione bolivariana: che vieta di svendere le immense risorse petrolifere. Un’agenda da imporre con l’appoggio internazionale: di Trump e delle istituzioni come l’Osa in cui pesano i due grandi del continente, Brasile e Argentina, ora a destra.

E PROPRIO la ministra degli Esteri argentina, Susana Malcorra, che ha incontrato il papa venerdì scorso, ha dato la sua versione alla stampa internazionale. Secondo Malcorra – che ha guidato l’espulsione di Caracas dal Mercosur per firmare il Tlc con l’Ue e che ora ha la presidenza di turno della Unasur – Bergoglio ha chiesto a Maduro di «adempiere agli impegni presi». Anche in questo caso, le cose vanno lette in filigrana. Da una parte c’è la posizione della Conferenza episcopale venezuelana e di molti cardinali modello Wojtyla, che sfilano con l’opposizione e ne assumono il punto di vista, dall’altra l’atteggiamento del «papa bolivariano» e dei suoi consiglieri progressisti. Bergoglio ha ricevuto Maduro in Vaticano e, più di recente, il suo amico gesuita Numa Molina, fautore del dialogo e delle 3T (casa, terra, lavoro). E si sa, da fonte sicura, che disapprova le politiche neoliberiste di Macri (ora in visita da Trump) per l’Argentina, almeno quanto quelle di Temer in Brasile. Forte dell’appoggio del segretario dell’Osa, Luis Almagro, Malcorra vorrebbe convocare un’altra riunione contro Caracas. Se vengono di nuovo violate le procedure, il Venezuela uscirà dall’Osa. Il 2 maggio, invece, si riunisce sul tema il vertice della Celac, la Comunità degli Stati latinoamericani e caraibici, che comprende 33 stati americani tranne Canada e Usa.