La notizia è stata confermata tanto da Maduro quanto da Trump: Venezuela e Stati uniti mantengono da mesi contatti ad «alto livello». Altro non si sa: né i nomi di chi li sta portando avanti, né i reali obiettivi in gioco.

«Chiaro che ci sono contatti e che continueranno a esserci», ha dichiarato Maduro martedì spiegando come alti funzionari del governo, con la sua autorizzazione, stiano interloquendo con rappresentanti dell’amministrazione Trump per far arrivare al presidente Usa la verità sulla Rivoluzione bolivariana. E ribadendo la propria disponibilità al dialogo per risolvere il conflitto tra i due paesi. «Non voglio dire con chi», ha dichiarato da parte sua il presidente Trump, ma «stiamo parlando con vari rappresentanti del Venezuela» e «a un livello assai alto».

La notizia arriva dopo le voci di presunti contatti tra la Casa bianca e il numero due del chavismo, il presidente dell’Assemblea nazionale costituente Diosdado Cabello, relativi a un accordo su una possibile resa. Smentite nettamente da quest’ultimo, tali voci sono funzionali all’interpretazione che di questi contatti viene offerta dal governo statunitense.

Come ha dichiarato a Efe una fonte del Dipartimento di Stato Usa, sarebbero decine, «tra quelli che si suppone siano gli alleati più stretti di Maduro», coloro che avrebbero tentato di «stabilire contatti con gli Usa per negoziare la sua uscita di scena». «Che poi gli Stati uniti rispondano o meno dipende dalle circostanze specifiche», ha aggiunto la fonte, insistendo sul fatto che Maduro non possa «confidare nel suo circolo di consiglieri».

Un argomento, questo, proposto e riproposto molte volte, in particolare dopo il fallito golpe del 30 aprile, quando i vari John Bolton, Mike Pompeo ed Elliott Abrams avevano diffuso la versione secondo cui i vertici delle forze armate sarebbero stati d’accordo nel deporre Maduro e poi si sarebbero rimangiati la parola. «Maduro è circondato da cospiratori pronti a rompere in qualsiasi momento», aveva già allora detto il senatore Marco Rubio.

Ma il fatto che, mentre i mesi passano, tale rottura non ci sia ancora stata favorisce il dubbio che si tratti piuttosto di una strategia degli Usa diretta a seminare il sospetto e a intaccare la fiducia del presidente nei suoi più stretti collaboratori.

Quanto al dialogo con l’opposizione, dopo la sospensione dei negoziati decisa da Maduro in seguito al brutale embargo imposto il 5 agosto da Trump e sostenuto con entusiasmo da Juan Guaidó, il ministro degli Esteri Jorge Arreaza ha assicurato che il governo non si è ritirato dal processo di dialogo, ma che verrà riattivato «con un nuovo meccanismo in grado di garantire la pace».

E intanto, secondo quattro fonti consultate dalla Reuters, i delegati di Guaidó che hanno preso parte ai colloqui con il governo viaggeranno in settimana negli Stati uniti per rivedere i punti affrontati finora nel processo negoziale. Vale a dire, per ricevere nuovi ordini.

L’attenzione sarebbe rivolta in particolare alla proposta di nuove elezioni presidenziali che, secondo una delle fonti, il governo avrebbe accolto ponendo due condizioni: lo svolgimento delle elezioni tra un anno e il via libera alla candidatura di Maduro. Una condizione, quest’ultima, ritenuta inaccettabile dagli Stati uniti.

E mentre in ambito diplomatico si lavora alla quadratura del cerchio, il capo del Comando sud degli Stati uniti Craig Faller non rinuncia a fare la voce grossa, dicendosi pronto a eseguire l’ordine di Trump di realizzare un blocco navale contro Caracas.