È durata solo un attimo – prima che l’opposizione mandasse all’aria l’«Accordo di convivenza democratica» faticosamente raggiunto con il governo – la speranza del popolo venezuelano di giorni migliori.

NON SI SAPRÀ MAI se la Tavola dell’unità democratica (Mud) avesse mai avuto l’intenzione di firmare quel documento, il quale, tra altri punti, fissava per il 22 aprile la data delle elezioni presidenziali, a metà strada tra il 4 marzo proposto dal governo e il 10 giugno richiesto dall’opposizione.
Fatto sta che a partire dal dietrofront della Mud – ricondotto dal governo a una tempestiva telefonata proveniente dalla Colombia, in contemporanea con la visita del segretario di Stato Usa Rex Tillerson – e dalla decisione del Consiglio nazionale elettorale di fissare comunque per il 22 aprile la data delle presidenziali, il cerchio sembra stringersi sempre di più attorno alla rivoluzione bolivariana.

DOPO IL VIAGGIO DI TILLERSON in Messico, Argentina, Colombia, Perù e Giamaica, diretto proprio ad aumentare la pressione sul governo Maduro, con tanto di minaccia di un embargo petrolifero e di invito ai militari a rovesciare il governo, è stato tutto un fiorire di aggressioni verbali. Se il senatore repubblicano Marco Rubio ha assicurato l’appoggio del mondo alle forze armate «se decidessero di proteggere la popolazione e ripristinare la democrazia destituendo un dittatore», l’ambasciatore Usa in Colombia Kevin Whitaker ha affermato la necessità di «una soluzione democratica, istituzionale e rapida», mentre Francisco Palmieri, sottosegretario di Stato Usa per gli Affari dell’emisfero occidentale, ha offerto a Brasile e Colombia aiuto «tecnico e umanitario» per far fronte al flusso di migranti dal territorio venezuelano, suscitando così le proteste del governo Maduro, che in tale aiuto vede nient’altro che un tentativo di invasione mascherata.

I SEGNALI di una possibile aggressione militare contro il Venezuela, attraverso l’impiego di una forza multinazionale guidata dalla Colombia e diretta dal Comando Sur degli Stati uniti, diventano sempre più sinistri. Difficile, infatti, non interpretare in chiave anti-venezuelana la presenza di forze militari Usa nella regione di Tumaco, in Colombia, di cui ha dato notizia il capo del Comando Sur degli Stati Uniti, Kurt Tidd. O l’ingresso di un contingente di 415 membri delle forze armate statunitensi in territorio panamegno, entrato peraltro nel Paese, secondo la denuncia di organizzazioni sociali e di mezzi di informazione locali, due giorni prima che il governo di Panama ne autorizzasse la presenza.

MA SE L’IPOTESI di un intervento militare non appare più così remota, lo si deve anche all’isolamento politico a cui sembra condannato il governo Maduro. Proprio oggi, non a caso, si svolgerà una riunione ad hoc del Gruppo di Lima, convocata dal governo peruviano di Pedro Pablo Kuczynski – che ha barattato la propria permanenza al potere con un illegale indulto a Fujimori – allo scopo di «valutare le misure da adottare dinanzi allo sviluppo della situazione venezuelana».

A decidere tali misure saranno governi dalle ineccepibili credenziali democratiche e dall’irreprensibile condotta in materia di diritti umani, dall’Argentina alla Colombia, dal Guatemala al Messico, per finire in bellezza con i governi del Brasile e dell’Honduras.