È il paradosso più eclatante tra i molti della crisi venezuelana: l’accusa al governo, rivolta già da Obama nel suo ordine esecutivo del 2015, di rappresentare «una minaccia straordinaria e inusuale alla sicurezza nazionale e alla politica estera degli Stati uniti».

CHE GLI STATI UNITI volessero far credere di sentirsi minacciati dal Venezuela, dopo aver benedetto e promosso ogni iniziativa diretta a rovesciare i governi prima di Hugo Chávez e poi di Nicolás Maduro, aveva già lasciato tutti esterrefatti all’epoca. Ma ora la decisione di Trump di rinnovare il decreto per un altro anno suona ancora più insensata di fronte all’aggressione in atto contro il governo bolivariano e dopo le ripetute minacce di intervento militare.

Di un «errore storico» ha parlato il ministro degli Esteri venezuelano Jorge Arreaza, il quale, in risposta a Trump, ha affermato che «il Venezuela non ha mai rappresentato una minaccia per nessun popolo del pianeta». «È inconcepibile – si legge nel comunicato emesso dal governo – che la prima potenza militare del pianeta, che non perde l’occasione di violare il diritto internazionale e usa sistematicamente la forza a favore dei propri interessi, pretenda di qualificare il Venezuela come una “minaccia”».

A MINACCIARE, ancora una volta, è stato invece l’inviato speciale per il Venezuela Elliot Abrams, il quale ha evocato addirittura la possibilità di imporre sanzioni agli attori di paesi terzi che intrattengano rapporti commerciali con il Venezuela. «È una decisione possibile, ma non è ancora il momento», ha dichiarato Abrams, ribadendo come la via adottata dagli Stati uniti sia quella della «pressione diplomatica»: «Per quanto tutte le opzioni siano ancora sul tavolo – ha aggiunto – non abbiamo puntato su quella militare». E il consigliere per la Sicurezza della Casa bianca, John Bolton, fa sapere che gli Usa « stanno avvertendo le istituzioni finanziarie straniere che verranno colpite da sanzioni qualora facilitino transazioni a beneficio di Maduro e del suo entourage corrotto».

Dopo il fallimento dell’operazione degli aiuti umanitari, il pacifico rientro di Juan Guaidó nel paese e la speranza frustrata di una diserzione in massa dei militari, è facile immaginare che gli Usa non risparmieranno alcuno sforzo in termini di pressioni diplomatiche e di strangolamento economico.

MADURO, però, può intanto respirare. E martedì, nel corso della commemorazione del sesto anniversario della scomparsa di Chávez, dopo aver rinnovato il suo appello all’unità civico-militare dinanzi a quella che ha definito come una delle battaglie più epiche della storia venezuelana, ha invitato il popolo a partecipare a due grandi mobilitazioni in difesa della pace e della sovranità del paese: l’8 marzo nel quadro della festa delle donne e il 9 marzo in occasione proprio del quarto anniversario del decreto esecutivo di Obama.

Crisi diplomatica con la Germania: ambasciatore tedesco «persona non grata»
Ieri il governo di Maduro ha dichiarato «persona non grata» l’ambasciatore tedesco a Caracas Daniel Martin Kriener, accusato di «ingerenza negli affari interni del paese». Ora ha 48 ore per lasciare il paese. Il governo ha diramato una nota nella quale ha definito «inaccettabile» il fatto «che un rappresentante diplomatico straniero eserciti un ruolo pubblico di un dirigente politico». L’ambasciatore infatti era presente all’aeroporto lunedì per accogliere Guaidó, di ritorno in Venezuela. Berlino aveva riconosciuto Guaidó come presidente ad interim del Venezuela. La risposta dalla Germania non si è fatta attendere: il ministro degli esteri tedesco Heiko Maas ha ribadito il sostegno all’autoproclamato presidente.

Arrestato un giornalista americano e il suo collaboratore
Secondo il Sindacato nazionale dei lavoratori della stampa (Sntp), un giornalista americano Cody Weddle e il suo collaboratore il venezuelano Carlos Camacho, sarebbero stati arrestati. Con l’arresto di Cody Weddle, secondo il sindacato, salirebbero a 36 i casi di giornalisti e lavoratori della stampa arrestati nel 2019. Di questi, tre sono ancora in detenzione. La vicenda ha riportato l’attenzione sul comportamento del governo di Caracas nei confronti della stampa e non solo. Se infatti alcuni giornalisti sono stati arrestati, non sono pochi i venezuelani usciti dal paese. In media, rendono noto le agenzie Onu, nel 2018 circa 5 mila persone al giorno hanno lasciato il Venezuela per fuggire alla crisi politica ed economica in corso. La Colombia è il paese ad avere accolto il maggior numero di migranti e rifugiati (1,1 milione), seguita da Perù (506 mila), Cile (288 mila), Ecuador (221 mila), Argentina (130 mila) e Brasile (96 mila).