La prima bordata l’ha sparata l’agenzia Standard&Poors, che ieri ha dichiarato il Venezuela in default parziale per 200 milioni di dollari di buoni in scadenza non pagati. Poi è seguito il fuoco delle compagnie di assicurazione Finch e Moody’s, che hanno dichiarato in default la compagnia petrolifera statale Pdvsa. Infine il tam tam delle maggiori agenzie stampa informava che il primo incontro tra una speciale Commissione governativa venezuelana e i (circa 400) delegati di coloro che detengono il debito estero venezuelano «è stato un fallimento». Secondo la France Press, i rappresentanti del governo venezuelano  «non hanno fornito un piano concreto» per giungere a un accordo con i creditori. Il Paese ha un debito pubblico di 60 miliardi di dollari, che sale a 150 considerando i prestiti bilaterali.

Insomma, un quadro improntato al totale pessimismo. E dal quale si evince che il fallimento del governo bolivariano è solo questione di tempo. Specialmente dopo che lunedì l’Unione europea, seguendo l’esempio degli Stati uniti di Donald Trump, ha imposto una serie di sanzioni contro autorità ed enti venezuelani accusati di violare i diritti umani.

IL QUADRO FORNITO dalle autorità venezuelane è ovviamente opposto. Il vice presidente Tareck El Aissami, che guida la commissione dei negoziatori, ha dichiarato che l’inizio del processo per il rifinanziamento del debito estero «è stato un successo». Nonostante «la persecuzione finanziaria» voluta da Trump – le sanzioni impediscono a cittadini Usa di comprare bond venezuelani e di fare affari con una lista nera di personalità, tra le quali lo stesso vicepresidente – Aissami ha assicurato che vi è un interesse dei creditori a partecipare a prossimi tavoli tecnici per valutare «proposte concrete».

In precedenza il presidente Nicolás Maduro aveva annunciato che sono in corso negoziati con Cina e Russia, paesi con i quali il Venezuela ha un debito di 28 e 8 miliardi di dollari rispettivamente. E oggi a Mosca è prevista la firma di un accordo per ristrutturare una quota di 3 miliardi di debito con la Russia.

Il sostegno dei due grandi alleati del Venezuela è dato per sicuro dall’analista economico José Rodríguez, il quale ha dichiarato a Telesur che «il Venezuela ha sempre onorato i suoi debiti. L’anno scorso ha pagato circa 70 miliardi di dollari . Per questo Cina e Russia dovrebbero offrire una sorta di avallo al debito estero del paese. L’esempio è dato dalla Russia, il cui ministro delle Finanze, Anton Siluanov, ha annunciato che la ristrutturazione di 3 miliardi del suo credito è solo il primo passo».

L’OTTIMISMO È CONDIVISO anche da un altro esperto, Juan Romero: «Nonsotante le sanzioni di Trump, molti circoli economici Usa che hanno interessi nelle immense riserve di greggio dell’Orinoco sono interessati a un accordo col governo venezuelano. Inoltre per la prima volta da tempo il prezzo del petrolio ha superato i 70 dollari al barile».

Il basso prezzo del petrolio, come pure la «guerra economica» dell’opposizione e le sanzioni di Trump sono le cause che, secondo il presidente Maduro, hanno reso drammatica la crisi. Il Venezuela ottiene il 95% dei propri introiti dall’esportazione di greggio. La violenta «politica antinazionale» dell’opposizione ha portato anche alla caduta della produzione petrolifera. Ma la risalita del prezzo e soprattutto le divisioni interne che hanno fortemente indebolito l’opposizione danno un maggior margine di manovra al presidente. In caso di (probabile) vittoria anche nelle elezioni comunali previste il 10 dicembre, il governo bolivariano otterrebbe una situazione politica e sociale migliore per affrontare la crisi.

IL PROBLEMA DRAMMATICO del paese è l’estrema scarsezza di liquidità. Le riserve sono cadute a circa 10 miliardi di dollari a fronte di un debito estero imponente. Inoltre, per pagare questo debito il governo dovrà continuare a sacrificare le importazioni – tutte onorate in dollari – da cui dipende pesantemente nel settore alimentare e farmaceutico.

La situazione in cui vivono i venezuelani – con una drammatica inflazione e scarsezza di vari generi fondamentali – è già assai pesante. È questo il maggior ostacolo che il presidente e il suo partito dovranno affrontare nei prossimi mesi, in vista della «battaglia strategica» presidenziale del prossimo anno.