La crisi sempre più acuta in Venezuela è stata all’ordine del giorno ieri, nella riunione straordinaria del consiglio di sicurezza delle Nazioni unite.
Al netto dell’oggettivo stato di permanente e violento sconvolgimento economico e sociale in cui versa il paese sudamericano, il consiglio ha restituito anche l’immagine della caotica situazione che coinvolge tutto l’emisfero.

I paesi membri si sono divisi fra garantisti della sovranità venezuelana e un crescente numero di stati sostenitori di una transizione politica (in sostanza una sorta di decertificazione retroattiva delle elezioni tenute a maggio) guidati dagli Stati uniti.

IL CONSIGLIO HA SEGNATO l’esordio di Elliot Abrams nel nuovo ruolo di «inviato speciale» di Washington per il Venezuela. Abrams, falco di lungo corso e già sottosegretario di stato con portafoglio all’interventismo centro americano sotto Ronald Reagan, non ha indugiato nel tenere fede alla propria reputazione con la prevedibile denuncia del regime madurista precedentemente definito «illegittimo stato mafioso» dal Segretario di stato Mike Pompeo.

GLI HA RISPOSTO IL MINISTRO degli esteri del Venezuela Jorge Arreaza che ha definito assurda l’autonomina a presidente del leader dell’opposizione Juan Guaidò e sovversivo il riconoscimento che alcuni governi gli hanno accordato, un azione intrapresa degli Stati uniti e dai suoi stati satellite che ha chiamato «pericolosa per il legittimo diritto internazionale e per l’umanità».

Abrams ha risposto definendo «un insulto» chiamare molti dei presenti in aula affermando che gli unici satelliti sono Venezuela e Cuba subordinati alla Russia. A sua volta l’affermazione ha provocato la replica sia dell’ambasciatore russo Vassily Nebenzia, che la reazione di un Arreaza visibilmente alterato. «Certo una persona condannata per sovversione, connivente con assassini e narcotrafficanti, forse non è la migliore per parlare di diritto internazionale» ha affermato secco Arreaza, «magari si potevano scegliere facce meno compromesse».

Il riferimento è ai trascorsi di Abrams come uno degli inviati di punta della politica reaganiana contro i Sandinisti in Nicaragua e l’Fmln in El Salvador nei sanguinosi anni ‘80 quando Washington finanziava la sporca guerra di contras e dell’esercito somozista. Abrams fu allora uno degli architetti dell’affare Iran-Contra in cui la guerra segreta venne finanziata dagli Usa con la vendita di armi all’Iran e l’arruolamento di narcotrafficanti regionali.

ALL’EPOCA ABRAMS era il principale portavoce della linea reaganiana che negava le ingerenze paramilitari e le stragi di cui si macchiarono le fazioni finanziate e dirette da Washington all’insaputa del congresso. Per il suo ruolo venne condannato per aver mentito al congresso ed in seguito amnistiato da George Bush.

Che l’amministrazione Trump lo abbia ora riesumato come uomo di punta sulla politica venezuelana è effettivamente emblematico del ritorno di Trump alla più retrograda linea americana nell’emisfero. La nomina di Abrams, (e prima di lui quella di John Bolton) inficiano la narrazione americana di esportazione della democrazia quanto il tentato golpe contro Hugo Chavez del 11 aprile 2002.

Un fatto ricordato dall’ambasciatrice cubana Anayansi Rodríguez Camejo che ha defintio l’attuale linea americana un ritorno in tutto e per tutto alla dottrina Monroe che considerava l’America Latina il cortile di casa di Washington.

LA CONCITATA RIUNIONE ha fotografato insomma il ritorno della politica emisferica agli antichi (dis)equilibri che la distruttiva leadership trumpista sta riportando in ogni quadrante geopolitico.