È stato il più votato del centrosinistra: 883 preferenze. Nicola Pellicani, 54 anni, giornalista, figlio del migliorista Gianni (cui è intitolata la Fondazione che promuove anche il Festival della Politica), era stato sconfitto alle Primarie da Felice Casson ma aveva accettato il ruolo di capolista nella Civica del candidato sindaco.
A 48 ore dal ballottaggio, non ha dubbi: «Una sconfitta de-va-stan-te. È l’equivalente di Bologna con Guazzaloca che diventa sindaco o di Livorno un anno fa con la vittoria M5S. Per capirci bene: dal 1975 Venezia è sempre stata governata dalla sinistra, con l’eccezione delle brevi parentesi di Laroni negli anni ’80 e di Bergamo a cavallo di Tangentopoli».
Con Casson k.o., tocca a Pellicani il ruolo di leader?
Rispondo, se posso, con una battuta. Mi ero candidato a fare il sindaco della mia città. Poi sono scalato a vice. Forse, l’elettorato chiede che torni a lavorare alla Nuova Venezia…
Comunque, vi tocca reagire…
Vedremo intanto di compattare i consiglieri Pd e della lista Casson. E di fare un’ opposizione ferma, ma anche concentrata su contenuti e programmi che abbiamo espresso, eccome, durante la lunga campagna elettorale. Siamo forti del fatto che conosciamo, a fondo, la città e che abbiamo una relazione consolidata con i cittadini, il territorio, le forze e le intelligenze vive. Da cronista ho imparato a conoscere i problemi, poi con la Fondazione e il Festival ad alimentare confronti, studi e ricerche.
E Luigi Brugnaro?
Persona rispettabilissima, ma è del tutto evidente che i “nuovi” sono improvvisati. L’agenda di Venezia non fa sconti, a cominciare dal bilancio del Comune.
Ma sono vere le voci che vogliono Casson «impallinato» da fuoco amico?
Stupidaggini…
Resta il clamoroso affondamento del centrosinistra…
Il punto ora è che diventa indispensabile un’operazione verità sull’esito del voto. E dobbiamo ripartire subito con un progetto convincente, se poi vogliamo tornare a governare Venezia. Con una nuova classe dirigente, perché il segnale delle urne è stato inequivocabile da questo punto di vista. Alla domanda di cambiamento il Pd non ha risposto: lo si vede dai risultati nelle isole, a Marghera e Mestre. E perfino prima della vicenda Orsoni e dello scandalo Mose, il Pd è rimasto prigioniero delle logiche di corrente, avvitato su se stesso. Insomma, un partito fermo per mesi. Preoccupato di difendere il buon lavoro amministrativo, ma sempre con gli stessi da troppi anni sulla scena.
Colpa delle Primarie?
Non perché lo dice Renzi, ma effettivamente devono essere uno strumento per vincere le elezioni non per perderle, magari anche male. Come strumento di partecipazione democratica hanno un significato preciso, che non può essere piegato dalla resa dei conti fra apparati. A Venezia, per altro, l’esito delle Primarie è stato l’opposto di ciò che si è consumato in Liguria. Felice ha vinto, io ho perso; tutti insieme ci siamo rimboccati le maniche per Venezia.
Colpa di Casson?
Ma per carità! Felice ha fatto tutto ciò che doveva. Non si può certo gettare la croce addosso a lui. Tant’è vero che si sono già dimessi i segretari comunale e provinciale del Pd e si profila in tempi stretti un congresso letteralmente straordinario.
È la stessa «devastazione» in tutto il Veneto, no?
Il risultato delle Regionali è lì, più che eloquente. Pd e centrosinistra sono “rinchiusi” nelle città senza una dimensione veneta. La Lega, come prima la Dc, c’è sempre e dovunque. A questo punto abbiamo davvero l’occasione di cambiare, girare pagina, investire a tutto campo. Insomma, il Pd veneto è inesorabilmente chiamato a guardarsi allo specchio e assumere scelte non più rinunciatarie. Di certo, e al di là di Alessandra Moretti, non potrà più essere la mera somma di sette federazioni.
Una svolta drastica?
È di Ettore Bentsik nel 1995 il risultato migliore: 32,3%. Dopo vent’anni, bisognerà pur convincersi a ripartire sul serio…