È dunque accaduto di nuovo, come tutto il mondo ha visto – perché un disastro a Venezia, anche solo sfiorato, fa notizia e spettacolo, e fa paura. A poco più di un mese dal 2 giugno, quando la MSC Opera era andata a sbattere contro la riva di San Basilio, in canale della Giudecca, alle 18.30 di domenica scorsa, la Costa Deliziosa (a questi mostri amano dare nomi leziosi), irresponsabilmente avviata verso l’uscita dalla città malgrado le avverse condizioni meteo, ha rischiato di andare a finire contro Riva Sette Martiri, in bacino San Marco, e di schiacciare yacht e vaporetti, seminando il panico.

In velocità, ha sbandato e scarrocciato con tutta la spaventevole imponenza dei suoi 294 metri di lunghezza per 32 di larghezza, con la sua stazza di oltre 92 mila tonnellate e la sua capacità di quasi tremila passeggeri e mille persone di equipaggio, fino a quando la forza dei tre rimorchiatori (erano due fino all’incidente del 2 giugno, e per fortuna che il numero è aumentato!) e la perizia di chi li conduceva non hanno potuto rimetterla in rotta.

Basta guardare i video in rete, per condividere il panico ma anche la rabbia dei veneziani, e di chiunque fosse presente, di fronte a quell’incredibile scena. Chi volesse rendersi ancor meglio conto di cosa sia successo, però, dovrebbe andare sulla pagina Fb del Comitato Nograndinavi e guardare la ricostruzione animata dell’accaduto, eseguita sui tracciati radar. Ne risulta un quadro oggettivamente, cartesianamente chiaro, e da brividi, sui rischi corsi e sulla devastante prepotenza della sola presenza di queste navi in città. Anzi, in laguna. Non ci si faccia ingannare, infatti.

Già dopo il 2 giugno, e dopo la manifestazione degli oltre diecimila del sabato successivo, il gioco del partito del business crocieristico è stato quello di usare il pericolo corso, l’emergenza stessa, per mantenere per sempre in laguna le mega navi, spostandone un po’ a Marghera (immaginatene una andare a sbattere contro una banchina dove si sta lavorando, o contro impianti e depositi pericolosi come ne abbondano in zona industriale), previo scavo di canali e bacini di evoluzione, e mantenendone una parte nell’attuale Stazione Marittima, previo scavo, tra Marghera e la Marittima, del canale Vittorio Emanuele. Condannando, così, definitivamente, la laguna al dissesto idrodinamico e geologico, riducendola cioè a un braccio di mare (destino che andrebbe radicalmente contrastato e verso il quale l’hanno già indirizzata le manomissioni novecentesche, in particolare proprio con gli scavi, a cominciare dal «canale dei petroli» Malamocco – Marghera, nuova via d’ingresso anche delle grandi navi secondo la proposta dell’attuale amministrazione comunale, della Regione e della lobby delle crociere).

Il gioco di questa lobby è insieme cinico e avventurista. Ha finora proposto soltanto soluzioni peggiori del problema, che darebbero il colpo di grazia all’ecosistema, ma intanto lascia le cose come stanno, tirando a campare e lucrando finché possibile. C’è solo un modo, oggi, per interrompere questo gioco pericoloso: dare immediata e integrale applicazione al cosiddetto decreto Clini-Passera del 2 marzo 2012, che vieta l’ingresso in laguna di imbarcazioni superiori a 40.000 tonnellate di stazza lorda, superando le norme transitorie contenute nell’articolo 3, che ne sospendono gli effetti in attesa di soluzioni alternative. Questa sospensione è stata finora il cavallo di Troia del mantenimento dello status quo, gravido di rischi e devastante nell’impatto sull’ambiente lagunare e sulla salute dei residenti. È tempo di evitare anche questo scarrocciamento, il più rischioso di tutti.