La Mostra di Venezia che si apre il 1 settembre è da sempre il riferimento privilegiato per il cinema italiano che attende con impazienza l’appuntamento subordinando al Lido ogni altra possibilità, nonostante l’alto numero di presenze, cresciuto negli anni, che crea un inevitabile «affollamento» non sempre felice. Questo vale ancora di più a fronte della pandemia, lo scorso anno la Mostra unico festival grande a realizzarsi – Cannes venne cancellato – aveva concentrato su di sé le aspettative di una «ripartenza» delusa poi dalle impennate incontrollabili del virus che hanno costretto a richiudere di nuovo.

L’edizione 2021 arriva in un contesto che da una parte è più stabile nel senso che i festival – come appunto Cannes o Locarno – sono tornati a svolgersi col pubblico e anche gli altri più piccoli o specializzati hanno confermato in questi mesi la loro presenza. Dall’altra però il sistema cinematografico si è fermato quasi un anno modificando in modo piuttosto deciso assetti e economie in tutto il mondo. Le piattaforme sono cresciute, come l’abitudine al consumo casalingo, e a Netflix, Amazon o Apple se ne sono aggiunte altre, le major come Disney , mentre se si continua a dire «per adesso» – ma come si potrà tornare indietro? – la finestra tra la sala e lo streaming si è contratta (la querelle tra Scarlett Johansson e Disney per Black Widow mandato in streaming troppo presto rovinando gli incassi è emblematica).

Cosa accadrà la prossima stagione è da vedere (senza sottovalutare il Covid), ma certo il sistema cinematografico è cambiato e con esso lo sono anche i festival – per esempio difficilmente si rinuncerà alla parte online specie dei mercati che grazie a questa formula hanno ampliato la loro platea permettendo a chi ha difficoltà di spostarsi, ora per le restrizioni di viaggio oppure per ragioni di investimento, di partecipare. Per alcuni festival inoltre allargare il pubblico è una scommessa interessante.

E il cinema italiano? Anche qui si vedrà, a cominciare dalla «prova sala» autunnale già complessa in era pre-Covid, ma intanto in Laguna arriva massicciamente – le produzioni dicono sono state attivissime durante il lockdown.

Cinque i titoli in concorso: Il buco di Michelangelo Frammartino, È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino, America latina dei D’Innocenzo, Qui rido io di Mario Martone, Freaks Out di Gabriele Mainetti che esprimono un immaginario italiano sul piano formale e narrativo lontano da quel cinema nazionale più formattato di commedia/sceneggiatura. E giocano sull’impatto internazionale di alcuni nomi (non solo l’Oscar Sorrentino di produzione Netflix), a cominciare da Frammartino che forse non farà box office ma dalle Quattro volte è un riferimento tra festival e critica mondiali di un’immagine italiana di ricerca, e come tale esportabile.

Anche negli Orizzonti si oscilla tra due sistemi diversi, ugualmente internazionali: da una parte Laura Bispuri due volte in gara alla Berlinale (Figlia mia, 2018 e La vergine giurata, 2015) che in Il Paradiso del pavone (nel cast ci sono Dominque Sanda, Alba Rohrwacher, Maya Sansa) tratteggia un ritratto famigliare tra silenzi e verità dei sentimenti. E Yuri Ancarani, un filmmaker di confine tra arte e immagini in movimento, più eccentrico rispetto alla struttura «cinema italiano» già presente nelle selezioni veneziane in passato, che in Atlantide racconta una storia di formazione ai margini della Laguna.

Fuori concorso il nuovo film di Leonardo Di Costanzo, Ariaferma, un altro autore che esprime un cinema italiano diverso e che qui si confronta per la prima volta con due attori «mainstream» quali Silvio Orlando e Toni Servillo (ma nel cast ci sono anche molti non professionisti) in una storia al maschile, nello spazio chiuso di una prigione.

Per scoprire però quali potranno essere le tendenze del futuro ci si deve avventurare nelle sezioni parallele, a cominciare dalla Sic, quest’anno con l’esordio alla direzione di Beatrice Fiorentino, che per statuto – opere prime e seconde – e ancor più per sensibilità prova a tracciare geografie del possibile. Ne è un esempio Gianluca Matarrese, regista piemontese che vive a Parigi di cui presenterà in chiusura La dernière séance, il romanzo di una vita che è anche quello dell’incontro tra due uomini. E ancora di più lo sono gli autori nel concorso dei cortometraggi italiani Sic@Sic. Tra questi Chiara Caterina, giovane autrice già notata nei circuiti internazionali che in L’incanto traccia una riflessione emozionale nel bordo tra la parola e l’immagine attraverso le voci di cinque donne tra cui quella di Donatella Colasanti, sopravvissuta al massacro del Circeo.

Dice l’autrice: «Il film prende vita tra una connessione agli spazi quasi familiare, rafforzata dall’uso della pellicola in 16mm e in super8, e gli scenari oscuri che le voci vogliono incarnare. I frammenti di voci costruiscono un unico monologo che diventa lo specchio delle mie proprie angosce: il vuoto, la paura della morte, l’errore, il dubbio che pesa su chi discute di innocenza e colpevolezza».