A voler cercare delle «linee generali», dice Alberto Barbera, «molti sono i film che raccontano il passato anche come modo di leggere il presente». Alla gremita presentazione della selezione ufficiale della Mostra del Cinema di Venezia (28 agosto – 7 settembre) alcuni dei titoli di maggior «prestigio» annunciati nel concorso dell’edizione numero 76 volgono infatti il loro sguardo all’indietro. È il caso di Roman Polanski, che torna a Venezia con il suo film sull’affaire Dreyfus – J’accuse – o di Olivier Assayas, che con Wasp Network racconta degli agenti segreti cubani infiltrati nei gruppi anticastristi degli Stati Uniti negli anni ’90. Herdade di Tiago Guedes con le parole di Barbera è una sorta di: «Novecento di Bertolucci ambientato in Portogallo». È anche il caso di Martin Eden di Pietro Marcello, liberamente tratto dal romanzo omonimo di Jack London ambientato agli albori del ’900.

INSIEME a Marcello, gli italiani in concorso sono Mario Martone – che torna a Venezia per il secondo anno consecutivo con l’adattamento della sua regia teatrale di un’opera di Eduardo De Filippo: Il sindaco del Rione Sanità – e Franco Maresco con La mafia non è più quella di una volta, con due protagonisti agli opposti: Letizia Battaglia e l’organizzatore di feste «legali e illegali» Ciccio Mira, già protagonista di Belluscone. Una storia siciliana.

Ma volendo cercare fra le righe cosa «racconta» questa 76esima edizione della Mostra si intravede anche una «grande confusione sotto il cielo», in special modo sotto quello hollywoodiano che si staglia naturalmente anche sul Festival che negli ultimi anni si è confermato come l’evento dove fanno il loro debutto i futuri premi Oscar. Una confusione che non è della linea del Festival di Venezia, rimasta fedele all’apertura nei confronti delle piattaforme streaming: sono due i titoli Netflix in concorso, The Laundromat di Steven Soderbergh e Marriage Story di Noah Baumbach, e uno fuori concorso, The King di David Michod, mentre Amazon – la cui politica rispetto alla sala è però ben diversa – porta fuori concorso Seberg di Benedict Andrews, con Kristen Stewart nei panni dell’attrice di Fino all’ultimo respiro.

È piuttosto la confusione inevitabile del mondo del cinema Usa che si prepara all’impatto della «guerra delle piattaforme», quello stravolgimento a cui aveva accennato Pierre Lescure prima dell’inizio di Cannes nel confermare la linea opposta, di chiusura totale a Netflix, del Festival francese. E così gli studios tradizionali latitano a Venezia rispetto agli «splendori» degli anni scorsi, con la notevole eccezione di Warner che porta in concorso Joker di Todd Phillips – un fatto anzi inusuale come sottolinea Barbera: «È raro che una major accetti la collocazione in competizione» – e di Ad Astra di James Gray che arriva al Lido dopo i molti rinvii nell’uscita dovuti alla fusione di Fox con Disney.

COME SARÀ il cinema di domani in un mondo in cui non solo l’«outsider» Netflix – il cui potere è stato in grado di riscrivere le regole del gioco (vedi gli Oscar) – ma le più grandi major (Disney) e multinazionali (Apple) faranno il loro ingresso sulla scena dello streaming? È una domanda che si legge in controluce anche nel programma del Festival di Venezia 76, nel quale a detta di Barbera un’altra delle linee generali è la presenza importante di «ritratti femminili» – come nel caso di Pablo Larrain in concorso con il suo Ema. «Segno forse che le polemiche di questi anni hanno inciso sulla nostra cultura», aggiunge Barbera in riferimento a #Metoo e alla battaglia 50/50 per la pari partecipazione di uomini e donne ai Festival, che l’anno scorso aveva colpito anche Venezia con una sola regista selezionata in concorso.

Quest’anno le registe sono due: l’esordiente Shannon Murphy con Babyteeth e Haifaa al-Mansour con The Perfect Candidate . Ma sarebbe più corretto parlare di pari opportunità e allora ha ragione Barbera quando dice che le registe – e specialmente quelle con mezzi paragonabili ai loro colleghi – «sono ancora troppo poche». È lo stato di un’industria nonostante tutto profondamente maschilista, alla quale però si può provare a rispondere con coraggio: impossibile «giudicare» a partire da film ancora non visti, ma per esempio due anni fa Susanna Nicchiarelli con Nico, 1988 – presentato in apertura di Orizzonti – avrebbe meritato il concorso.

Ad aprire Orizzonti quest’anno è invece il film di un’altra regista: Pelican Blood di Katrin Gebbe, e c’è anche il debutto – prodotto da Matteo Garrone – di Nunzia De Stefano con Nevia, Sole di Carlo Sironi e molti altri esordi: «Quest’anno – dice Barbera – il numero degli esordienti supera di gran lunga quello dei grandi autori».
Fuori concorso altri titoli italiani: Vivere di Francesca Archibugi, Tutto il mio folle amore di Gabriele Salvatores, Il pianeta in mare di Andrea Segre, Citizen Rosi di Didi Gnocchi e la figlia di Francesco Rosi, Carolina. E anche il Capitolo secondo di I diari di Angela – Noi due cineasti di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, scomparsa l’anno scorso.

IL NUOVO documentario di Alex Gibney Citizen K ricostruisce la storia del dissidente russo Mikhail Khodorkovsky, mentre Roger Waters Us+Them di Sean Evans e lo stesso Waters ripercorre il tour mondiale del musicista. E ancora State Funeral di Sergei Loznitsa è un film di montaggio sulle immagini d’archivio dei funerali di Stalin. Fra gli eventi speciali una performance live di Tsai Ming-Liang accompagnerà la proiezione della versione restaurata di Goodbye Dragon Inn del regista taiwanese. Mentre nel ventesimo anniversario della morte di Kubrick e della presentazione di Eyes Wide Shut a Venezia torna sul Lido il suo ultimo film accompagnato dal breve documentario Never Just a Dream di Matt Wells. Torna anche la Virtual Reality sull’Isola del Lazzaretto, che quest’anno raddoppia il suo concorso: quello dedicato alla realtà virtuale interattiva e uno per quella lineare.

DAL VASTO programma resta fuori il più atteso dei titoli Netflix, che in molti speravano sarebbe stato a Venezia: The Irishman di Martin Scorsese. «È un sogno che abbiamo accarezzato tutti – spiega Barbera – ma il complicatissimo processo di post-produzione ha richiesto più tempo del previsto».