Presidente Vendola, Giuliano Pisapia lancia «Campo largo», una formazione di sinistra che si allei con Renzi. Ma non sarà il suo «campo».

Quella di Pisapia è una proposta, direbbe Totò, a prescindere: dall’esito referendario, dalla crisi del paese, dallo sfaldamento del centrosinistra per mano renziana. È una proposta in buona fede ma disancorata dalla realtà. Persino retrodatata, sembra un’intervista fatta prima del referendum immaginando un esito diverso. Difficile interloquire su questa base. Come ha detto Enrico Rossi, sembra una stampella per il renzismo declinante.

Dei suoi nessuno ha detto sì, neanche quelli in disaccordo con la strada imboccata da Sinistra italiana.

Tutte le sinistre si sono incontrate nel referendum. La Cgil, l’associazionismo, l’Anpi, noi, la sinistra del Pd. Il referendum è uno spartiacque. Quella di Pisapia è un’idea fondata su alchimie politicistiche e un vago sentimento unitario. Noi dobbiamo ripartire dall’analisi di cosa ha generato lo tsunami che ha travolto il Pd, da quel 60% che ha votato No.

Che però in larga misura non è di sinistra.

È successo un fatto enorme: a dispetto della cosiddetta antipolitica, e capovolgendo la deriva astensionistica, c’è stata una mobilitazione democratica inimmaginabile: per dire No,non solo allo sfregio alla Costituzione, ma anche allo sfregio fatto alla scuola, alla condizione del lavoro, alla democrazia delle comunità territoriali. Appunto: i famosi mille giorni di Renzi. Le riforme non sono un bene in sé, se peggiorano le condizioni materiali di vita di milioni di persone, se diventano una minaccia, è ridicola la retorica di un riformismo senza alcuna qualificazione sociale. La verità è che stanno venendo al pettine, nel mondo, i nodi di un riformismo capovolto, quello per cui le sinistre moderate si danno dell’agenda della destra economica, ovviamente addizionate di frammenti di welfare e di diritti civili. Senza lo schermo e il fascino di Obama, pure il Partito democratico americano appare come un re nudo. Il socialismo europeo è un re nudo. Il renzismo è dentro la crisi verticale del riformismo. Dico a Pisapia: ma come si può evitare di guardare in faccia le politiche sociali di Renzi? Come si può dimenticare che il suo Pd ha portato a casa il programma di Berlusconi, a partire dall’art.18?

Sta dicendo ’mai più governi di centrosinistra’.

No. Dico che se la contesa è tra liberismo selvaggio e liberismo temperato alla fine vinceranno i Trump e il populismo reazionario. Se la bandiera impugnata in Europa è quella di qualche grammo di flessibilità, può vincere Salvini.

Il Pd di Renzi è così diverso da quello di Bersani con cui vi siete alleati?

Renzi certo non lo ha portato la cicogna, è nato dentro la crisi del Pd, che ha progressivamente smaltito il suo legame col mondo del lavoro subordinato, e da ultimo è frutto di quella coazione al naufragio che ha spinto il centrosinistra nelle secche del montismo.

Ma voi vi siete alleati con il Pd dopo il governo Monti.

Su un programma elettorale che sulla carta liquidava il montismo. Ma solo sulla carta.

Prima parlava del No. C’è pure qualcuno di sinistra che ha votato Sì. È irrecuperabile?

Non dico questo, nessuna preclusione. Dico che i compagni che hanno votato Sì hanno creduto alla retorica del ’caos’. Ma il caos c’è quando la sinistra rinuncia a essere speranza e cambiamento. Questo voto è una fotografia sociale: della disperazione del sud, della spoliazione di futuro dei giovani. Evocare il lupo mannaro del populismo è autoconsolatorio.

Anche la sinistra Pd ha criticato la proposta Pisapia. Che sembra una manovra interna al Pd. Tant’è che è stata elogiata da Renzi in direzione.

Non lo so. Ma una sinistra subalterna alla cultura renziana è una suggestione fantapolitica. E ai nostalgici del centrosinistra voglio ricordare che il programma sulla base del quale il Pd ha preso i voti è il contrario dei mille giorni di Renzi.

Sel è alle ultime battute. Lei ne fa un bilancio molto amaro, «una forza ambiziosa ma ingenua». È andata così male?

Sel è stata una bella anomalia, nata da tante storie che era riuscita a riarticolare una speranza che travalicava il nostro consenso elettorale. Ha interloquito con quello che sembrava l’autocritica del socialismo europeo. Che invece poi si è alleato con il blocco conservatore di Merkel. Noi abbiamo sempre avuto la capacità di giocare a tutto campo una partita politica, con la vicenda dei sindaci, dei governatori, anche con l’elezione dei vertici dello stato. Non siamo mai stati una ridotta minoritaria, senza mai rinunciare a essere un’alternativa. Ma siamo stati sconfitti.

Alcuni dei sindaci, come Zedda e Pisapia, non verranno con voi. Neanche Cofferati. Perché perdete persone importanti per la vostra storia?

Abbiamo perso Cofferati? Non credo. Si è una creatura appena nata. Tutti insieme abbiamo il dovere di rifondare un progetto di trasformazione. Le preoccupazioni, sia sulle pulsioni minoritarie che su quelle governiste, vanno sciolte in un dibattito limpido, plurale, che ha un tratto comune: l’alternatività al renzismo.

Al renzismo e non al Pd in sé?

Quello che sarà il Pd non lo sappiamo. Io di esperienze di governo ne ho fatte molte. È curioso che ora mi si appiccichi l’etichetta di estremista o di minoritario.

Alle elezioni, forse non lontane, Si che dovrebbe fare?

Evitare di discutere in astratto di alleanze. Radicarsi nella società italiana come un soggetto popolare e dell’innovazione, sapendo che le alleanze necessarie o corrispondono a un sentire largo e a interessi sociali limpidi oppure sono solo episodi della vita di palazzo.

C’è chi dice che vi avviate verso un ’cartellino elettorale’ della sinistra radicale.

Altra obiezione curiosa. Io e tanti insieme a me abbiamo combattuto battaglie contro il minoritarismo e l’autosufficienza di una certa sinistra radicale, contro sia la propensione al governismo ma anche quella al radicalismo. Ma per essere franco oggi il problema non è il radicalismo: mi pare un feticcio polemico.

In ogni caso potreste tornare insieme, da alleati, con il Prc.

Sì, ma è una discussione pretestuosa: conta la qualità del progetto politico. Rifondazione, lo dico con rispetto, mi pare poca cosa nella società italiana. Comunque le diaspore della sinistra sono state infinite, non si ricostruisce dai rancori ma mettendo al primo posto una sinistra utile al paese.

Renzi sale al Quirinale. Cosa deve fare il futuro governo?

Renzi deve uscire da Palazzo Chigi, serve un governo di scopo senza lui per una buona legge elettorale, proporzionale, e un’agenda circoscritta. Per andare al voto quanto prima.

E il ruolo di Vendola, dopo il ’sabbatico’, quale sarà?

Senza più l’incarico di segretario di partito, ma con tanta voglia di fare politica. Per quelli come me la discussione sulla politica, cioè sulla vita, è irrinunciabile. Mi piacerebbe dare una mano al nuovo soggetto, stando di lato.