La sinistra che Vendola disegna «non è la lamentosa, riottosa, querula sinistra del centrosinistra». Neanche quella che ha «il fascino della sconfitta». Né quella «che guarda a Tsipras come a un demiurgo». E infine «non è la sinistra della resa né quella del rancore». La sinistra che Nichi Vendola propone al suo partito non è molte cose, e questo mette d’accordo tutte le anime di Sel. Ieri all’assemblea nazionale, a Roma, il presidente ricompatta i suoi caricando su di sé, sul suo documento, il compito della sintesi. Alla fine il testo passa a larghissima maggioranza. Dieci gli astenuti, l’area filoPd di Gennaro Migliore che tiene bassa la polemica ma avverte: «Non cerco conte ma le differenze restano. La battaglia per la sopravvivenza e il quorum alle europee è un obiettivo centrato. Ma anche se avessimo preso il 3,97 le cose non sarebbero cambiate: il nostro non è un problema di soglie ma di iniziativa. Tutto cambia intorno a noi e Sel dovrebbe essere in grado di cambiare».

Se l’obiettivo è «centrato», la lista Tsipras, benché priva di eletti di bandiera, non è un fallimento, dunque nessuno chiede le dimissioni del gruppo dirigente. La minoranza accoglie come ’apertura’ la proposta di una conferenza programmatica in autunno. Istituto che, va detto, nella storia dei partiti della sinistra è sempre stata una nobile via d’uscita per rimandare lo scontro ad altro momento. Nella versione creativa di Sel è «su pratiche sociali e aperta ai contributi esterni». Del resto per Sel, e pure per la sua minoranze, non c’è fretta di fare scelte, almeno stavolta: le elezioni più vicine sono le regionali del 2015, quelle che vedranno con ogni probabilità l’uscita di scena di Vendola dalla Puglia. Ma questa sarà tutta un’altra storia. Quanto alle alleanze nazionali, per tutta Sel, compresa la pattuglia più governista, il Pd degli scandali veneziani e quello delle destituzioni dei senatori è per ora abbastanza inavvicinabile.
Ma è vietato chiamarla «pax vendoliana», né «mediazione al ribasso». In effetti il discorso di Vendola non scarta nulla: il centrosinistra a cui ancora tendere e la lista Tsipras dalla quale non si sfila. Anzi conferma la presenza di Sel all’assemblea dei giovani autoconvocati del 29 giugno e a quella dei garanti, il 19 luglio. Di più, la sintesi vendoliana rivendica tutto: nella rottamata coalizione Italia bene comune e nella opposta – a occhio – esperienza della lista Tsipras Vendola vede «due espressioni dello stesso coraggio dell’innovazione, della contaminazione, che rompe con l’adattamento fatalistico al presente». Le porte del dialogo con Renzi, «che per tanti ha rappresentato la speranza di un paese depresso», non sono chiuse. Anzi gli rilancia due sfide: quella sul semestre europeo («Caro Matteo, hai un ruolo e una forza che non ha eguali in Europa, usali») e quella sul governo italiano («le piccole larghe intese con la destra negano la buona politica»). Vendola sarebbe persino pronto, dice, a discutere di ingresso al governo se Renzi si liberasse «della destra impresentabile e delle politiche dell’austerity»: ma è periodo ipotetico dell’irrealtà. Più concreto invece il tentativo di dialogo con i fuoriusciti dei 5 stelle.

Vendola cerca di liberarsi del marchio del ’ma anche’: «Non siamo equidistanti fra il Ppe e il Pse, ma neanche fra Tsipras e Schulz, abbiamo scelto di stare con Tsipras». Il messaggio è all’indirizzo di Barbara Spinelli (lui non la nomina) che ha definito la linea politica di Sel «ambigua». Però al governatore sfugge di mano la metafora. Sel, dice, «è un «anguilla, che scappa via da chi la vuole riportare indietro». Platea perplessa. Sul palco sfilano i candidati alle europee, da Moni Ovadia («Vengo a pagare un debito con Sel, se non ci fosse stata non avremmo mai vinto») al giovane Claudio Riccio, al greco Argiris Panagopolous a Curzio Maltese. Sulla rete circola una lettera di Alexis Tsipras all’assemblea, in cui definisce «determinante» il contributo di Sel alla lista e invita a valorizzare «quello che ci unisce».

Lo scudo stellare che Vendola stende sul suo partito, anche sul decreto degli 80 euro che divide i gruppi parlamentari («Discutiamone con laicità») consente a tutti di ritirare i propri documenti ma di continuare a battere la propria strada. Dura, quella di Claudio Fava: «Abbiamo bisogno di fare una scelta, l’idea che nel documento di Vendola ci sia tutto e il contrario di tutto, non ci serve». Dalla parte opposta Edoardo Mentrasti mantiene un ordine del giorno che chiede di «sciogliere il nodo del rapporto con il Pd», raccoglie solo 5 voti. «Continuiamo la nostra linea, quella della ricerca», replica Ciccio Ferrara. E Massimiliano Smeriglio: «Non siamo né apocalittici né integrati». «La nostra politica è un crinale difficile, dobbiamo allargare lo sguardo non per trattare meglio con il Pd ma per allargare il radicamento sociale», spiega Cecilia Delia. Ovazione per il giovane Marco Furfaro, escluso dalla pattuglia europarlamentare, che scarta dalle polemiche interne alla lista: «Non abbiamo rimesso insieme la sinistra, voglio credere che la sinistra non è solo il 4,03 per cento. La sinistra o è un processo popolare o non è».

Sel resta unita, è la conclusione di Vendola, non recita nessun «de profundis», resta in quella «terra di mezzo» che nel lessico della casa è «lo spazio delle nostra sfida». Si frena, per ora, una corsa che sembrava puntare verso l’inevitabile rottura. «Ci diamo il tempo di far vivere la nostra sfida e vederne gli effetti», finalmente «liberi dall’incubo della frattura delle comunità» ma avverte: «Decidere insieme è il vincolo morale che dobbiamo rispettare». Se lo spettro della scissione si allontana, lo spettro delle posizioni interne si allarga sempre di più.