Dopo dieci anni, Nichi Vendola, presidente di Sel, in Puglia passa il testimone a Michele Emiliano, che lo raccoglie con un riconoscimento al predecessore: «Ci ha fatto vedere i pugliesi che hanno la schiena dritta. Intendo continuare questo lavoro». E Vendola si è detto convinto che la coalizione di Emiliano «potrà scrivere pagine bellissime».

Uno scambio di cortesie di rito?

La Puglia per la destra non è stata solo uno straordinario serbatoio di consenso, ma un laboratorio di costruzione di ipotesi politiche e strategie generali. Aver governato per un decennio riuscendo, nelle primarie, a sovvertire la logica del centrosinistra (candidati e programmi fotocopia del centrodestra) significa aver rotto quell’incantesimo. Ora Emiliano dovrà confrontarsi con l’agenda di governo e penso che si potrà apprezzare la continuità nelle scelte. Si archiviano vecchie ruggini.

Emiliano è soddisfatto dell’affluenza al 51%. Condivide?

No, io sono sgomento dinanzi alla nonchalance con cui si minimizza la partecipazione al voto. Quando un italiano su due gira la testa dall’altra parte manda un messaggio forte. Si è esaurita la spinta propulsiva di quel renzismo che con la rottamazione e le narrazioni effervescenti sembrava dover afferrare il bandolo di un Paese avvitato su se stesso.

Credo che il premier abbia preso un colpo abbastanza pesante. Intanto ha dato un contributo importante alla crescita del non voto e del M5S che drena una parte del consenso del centrosinistra. Quella parte che intende punire il Pd preferisce il 5 Stelle alle liste di sinistra. Il voto utile, a dare uno schiaffo a Renzi, gli è sembrato quello a Grillo.

Il voto alla sinistra è sembrato irrilevante e non utile a quello scopo? Perché?

Il punto di forza è stato l’invenzione di reti locali che dove hanno un minimo di radicamento alludono al nuovo soggetto di cui la sinistra ha bisogno. Ma è mancato il terreno dell’unificazione a livello nazionale, basti pensare che avevamo 7 simboli per 10 regioni. In campagna elettorale il Pd si è ulteriormente spostato a destra.

Dunque il voto ha avuto anche un forte movente politico: quello di afferrare Renzi per le caviglie e rimetterlo sulla terra, fuori dal limbo di propaganda e pubblicità in cui vive. E Renzi perde la partita più importante, in Liguria. Si comporta come un bambino indispettito, ma è stato il suo laboratorio nazionale per le relazioni spericolate tra Pd e pezzi di centrodestra.

Questa volta il voto utile è tornato come un boomerang in testa a Renzi. E la sinistra ha costruito una vera rete. Il risultato è un messaggio chiaro: questa è la strada. Non quella di un estremismo declamatorio e testimoniale, quella di una sinistra di governo competitiva con Renzi.

In Liguria ha fatto la sua parte anche un pezzo di minoranza Pd. Per questo la sinistra di Pastorino va meglio che altrove?

Abbiamo risultati importanti anche in Toscana, Puglia. C’è un terreno vasto che però ancora non è occupato da una chiara prospettiva generale: il «soggetto».

Forse in cantiere ci sono troppi soggetti o meglio progetti che non comunicano…

Ora è chiesto a tutti uno sforzo di generosità. Nessuno deve sottrarsi alla sfida di mettere in rete tutto quello che c’è. Sapendo che il terreno dell’unità possibile è quello dell’innovazione politico-culturale, non la somma algebrica. Una sinistra che non consideri degradante l’opposizione, ma che anche dall’opposizione sia capace di mettere in campo una moderna agenda di governo.

Nei prossimi giorni Civati battezzerà «Possibile». Guardate con attenzione alla sua iniziativa?

Sì… diciamo che guardo tutto con attenzione. Propongo a tutti un metodo: mettersi a disposizione. Io non ho invitato gli ex Pd o altri a entrare in Sel, ho detto: ’La nostra comunità è troppo piccola per accogliere le tante domande di sinistra’.

Civati dice ’venite a me’?

No, ognuno fa il proprio percorso, il problema ora è fermarci e coordinare un’attività unitaria. Il punto non è un altro partitino o la fusione di due partitini, ma come trasformare una presenza a macchia di leopardo sul territorio in una massa critica per costruire una sinistra competitiva e vincente.

Arrivano molti messaggi nella bottiglia, e ci indicano la direzione: troppi politicismi, bilancini, dietrologie, gelosie: basta. Bisogna rimettere al primo posto la costruzione di un soggetto per l’Italia e per l’Europa, che si relazioni a Podemos, Syriza, alle sinistre che fanno argine alla crescita della destra estrema.

Torniamo al fatto che sono i 5 stelle a essere percepiti come la «Podemos» italiana.

Perché la sinistra del Pd è apparsa come la sinistra dei penultimatum e si è consumata nei rituali di quel partito. E l’operazione di falsificazione delle idee della sinistra si riverbera anche su di noi.

Ma se il messaggio sulla ’sinistra vecchia’ attecchisce, Renzi non sfonda a destra.

Renzi in parte a destra drena, ma in parte rilegittima la destra. La partita in Liguria e Campania dava l’immagine di un’Italia in cui si è passati dalla contesa tra due sinistre alla quella tra due destre, senza previsione di una sinistra. Questa è stata la pretesa arrogante con cui il Pd ha trattato la pratica Liguria e quella Campania. Si è tornati al protagonismo dei cacicchi sotto l’usbergo delle liste civiche.

Si potrebbe dire anche per Emiliano, o no?

Anche in Puglia gli ingredienti del trasversalismo c’erano. Ma in Liguria, se si dovesse assumere l’alluvione come paradigma del modello di sviluppo, che differenze si vedrebbero tra Tosi e Paita? Nessuna. E in Campania?

Stamattina ho ricordato l’aneddoto del generale nazista che chiede a Picasso se veramente ha fatto lui «Guernica», e Picasso risponde: «No, l’avete fatto voi». Mi viene in mente quando Renzi e i suoi corifei se la prendono con la sinistra radicale che avrebbe fatto perdere Paita e vincere Berlusconi. Ma è stato lui a resuscitare Berlusconi. Renzi, la Liguria l’hai fatta tu.