Ho letto sul manifesto di ieri (1° giugno 2021) l’intervista ad Alessandro Marescotti, il quale si compiace dell’esito del processo Ilva a Taranto. Siccome ho partecipato – in prima persona – al dibattito parlamentare sulla conversione dei decreti-legge n. 61 e n. 136 del 2013, mi permetta di svolgere alcune riflessioni.

Sia in quei decreti-legge sia in una precedente sentenza della Corte costituzionale (la n. 85 del 2013) è emerso chiaramente come in qualsiasi Paese civile i beni dell’ambiente e della salute debbano essere posti a confronto con l’occupazione e il lavoro. Sono tutti diritti cui la Costituzione assegna un valore primario. La complessità dell’epoca contemporanea pone questa sfida continua e chiama tutti a una responsabilità. Sono certa che troppo spesso la classe imprenditoriale abbia interpretato il valore del lavoro come ricatto occupazionale e che l’ambiente e la salute ne abbiano fatto le spese.

Ma sono altrettanto certa che per affrontare questioni di questa portata occorre cultura politica, buona fede e duttilità operativa. Penso che Nichi Vendola avesse (e abbia) quelle qualità e trovo le parole di Marescotti contraddittorie. Sostiene di “non entrare nella vicenda giudiziaria” poi si smentisce poche righe appresso, sostenendo che “la sentenza crea le condizioni per un movimento unitario”.Non è così. Io che l’ho subito (uscendo poi, in appello, con un’assoluzione con formula piena) riconosco un errore giudiziario se mi passa sotto il naso. Questo lo è, non ho dubbi.

Il prof. Giorgio Assennato era uno stimato studioso di problematiche ambientali e Vendola lo aveva voluto a capo dell’Arpa regionale. Non ci sono prove che abbia fatto pressioni su di lui per ammorbidire i monitoraggi ambientali, che la legge regionale da lui stesso promossa e promulgata prevedeva. Lo stesso Assennato ha negato a ripetizione di aver subito pressioni. Tanto ciò è vero che è stato riconfermato nell’incarico proprio da Vendola.

Anche ammettendo (pur senza precisi riscontri) che vi siano stati dissapori o diversità di vedute tra Vendola e Assennato su quei monitoraggi, mai simili circostanze potrebbero atteggiarsi a indebita costrizione e, dunque, a concussione.

Altrimenti, tutti i sindaci e tutti i presidenti di regione (i quali hanno, potenzialmente, la facoltà di ritirare le deleghe ai loro assessori) sarebbero dei concussori ogniqualvolta le loro opinioni divergano da quelle degli altri componenti della giunta comunale o regionale.

Su Vendola, i giudici di Taranto sono incorsi in un evidente infortunio, confermato dall’accusa di favoreggiamento in capo ad Assennato (che ha riportato due anni). In pratica, colui che avrebbe subito intimidazioni e pressioni è, però, anche colpevole (!).