La sentenza di condanna nei confronti di quarantasette No Tav – 142 anni e 7 mesi di reclusione in tutto – ha gli occhi increduli di Mario al Barbé di Bussoleno, 61 anni, molti dei quali passati a tagliare i capelli dei valligiani.

Al termine della lettura del dispositivo, nella gelida aula bunker del carcere delle Vallette, si è aggirato sbigottito tra i banchi, dopo aver visto confermata la condanna di 3 anni e 2 mesi, per resistenza a pubblico ufficiale e lesioni. È accusato di aver lanciato pietre contro i poliziotti durante gli scontri del 3 luglio. «Mi imputano lanci che, secondo una perizia balistica, arriverebbero a 54 metri di distanza, ma io non sono certo superman. E sostengono che abbia ferito alcuni agenti in un orario in cui non ero presente». Ha sgranato gli occhi: «Non ci credo, non capisco tutto questo accanimento, forse perché sono amico di Erri de Luca?».

Lo scrittore de Il peso della Farfalla – il cui processo per istigazione a delinquere inizierà questa mattina – giovedì scorso gli ha regalato una dedica speciale, che Mario ha appeso nel negozio. Incorniciata, recita: «Ho smesso da molti anni di andare dal barbiere. Mi taglio da me lo scarso residuo di bulbi rimasi affezionati al cranio. Dunque per pura solidarietà entro oggi con il pensiero nella bottega di Mario, barbiere di Bussoleno e barbiere d’Italia. Stringo la sua mano accusata del più potente e prolungato lancio del peso dalla leggendaria distanza di 54 metri. Stupisco della capacità balistica di attingere perfino 17 bersagli dalla nominata distanza. Lui si schermisce e nega il delitto e l’impresa. Ma questa sua legittima difesa nulla toglie alla strepitosa accusa. Mi siedo sulla sua sedia e mentre mi avvolge l’asciugamano bianco intorno al collo gli dico a bassa voce: “Mario, resti tra noi imperdonabili, che tipo di allenamento pratichi?”». E la firma, in calce alla dedica, dell’amico Erri.

Mario è uno dei 47 condannati del maxi-processo ai No Tav. Non ha militanza politica alle spalle, è sceso in piazza, pardon tra i boschi (perché qui è montagna), quando ha capito che la sua Valle sarebbe stata deturpata, da una mega opera, la Torino-Lione. Il 27 giugno e il 3 luglio del 2011 furono giorni convulsi in Val di Susa. Prima la resistenza allo sgombero della proclamata Libera Repubblica della Maddalena (il presidio dei No Tav dove sarebbe poi sorto il cantiere del cunicolo esplorativo); poi, l’assedio alle reti, il giorno degli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine, che lanciarono 4.357 lacrimogeni. Il barbiere di Bussoleno fu arrestato all’alba del 26 gennaio del 2012. Nei giorni in cui era in carcere i suoi concittadini fecero in modo che la sua bottega non chiudesse, grazie all’intervento dei giovani imprenditori No Tav di Etinomia.

Ieri, la lettura dell’attesa sentenza del processo sui fatti dell’estate 2011, è durata un’ora e due minuti, a pronunciarla è stato il giudice Quinto Bosio. Nell’aula bunker erano presenti, oltre a Mario, quasi tutti i 53 imputati, accusati di vari reati: lesioni, danneggiamento, violenza a pubblico ufficiale. Sei le assoluzioni; le pene inflitte vanno da 4 anni e sei mesi di reclusione a 250 euro di multa. La Procura di Torino aveva, invece, chiesto complessivamente 193 anni di carcere. La Corte ha riconosciuto provvisionali per circa 150 mila euro, accordate in favore delle parti civili. Poco meno della metà andrà al ministero dell’Interno, il restante ai ministeri della Difesa e dell’Economia, a Ltf, ai sindacati di polizia e ad alcuni agenti feriti.

Finita la lettura, è partito l’urlo «vergogna» dal pubblico seduto in fondo all’aula. Alcuni imputati hanno iniziato a leggere un proclama contro «lo sfruttamento e la devastazione in nome del Tav». Hanno gridato «Resistenza ora e per sempre No Tav» e insieme al pubblico: «Giù le mani dalla Val Susa». Poi, è partito il canto di «Bella Ciao».

La delusione è alta. Tutti – imputati e esponenti del movimento – parlano di «sentenza politica». Gli avvocati annunciano ricorso: «Questa sentenza – ha sottolineato Gianluca Vitale, uno dei legali – infligge condanne spropositate e riconosce provvisionali assurde in totale assenza di prove». Per il collega Roberto Lamacchia, «si tratta di una sentenza già scritta, con pene spropositate rispetto alle normali condanne per questi reati in altri processi».

Nel movimento, Alberto Perino parla di un verdetto che «sa più di vendetta che di giustizia». Secondo Nicoletta Dosio, «l’era Caselli non è ancora finita». Tra i politici, esulta il ministro Lupi: «Ristabilito primato della legalità». Fortemente critici sinistra e M5S. Paolo Ferrero di Rifondazione: «Condannate anche me». Per Ezio Locatelli, Prc, è un «verdetto politico», mentre Giorgio Airaudo, Sel, lo definisce «pregiudiziale». Oggi toccherà a Erri De Luca, l’amico di Mario al Barbé, difendere la libertà di espressione.