Se capisco bene, al Teatro di Roma stanno immaginando di avere un direttore amministrativo e uno artistico, secondo lo schema che il Piccolo di Milano ha imposto in Europa dal dopoguerra, dalla coppia Strehler/Grassi a quella Escobar/Ronconi. Uno schema di completo buon senso, come ho avuto modo di constatare a Torino dove la presidente Evelina Christillin volle che venissi affiancato da Filippo Fonsatti per la parte amministrativa e organizzativa. Sono stati dieci anni di lavoro eccezionale, al tempo stesso di grande soddisfazione artistica e di grande crescita del teatro.
A Roma la spinta a questa innovazione è stata data da un inciampo amministrativo di qualche mese fa, che pare abbia convinto sia il direttore (fino ad allora unico) Giorgio Barberio Corsetti che il presidente Emanuele Bevilacqua a procedere in questa direzione. Se l’inciampo avesse avuto caratteristiche di malamministrazione se non addirittura di illegalità penso che i numerosi organi preposti lo avrebbero sanzionato, in ogni caso conoscendo Giorgio Barberio Corsetti metto la mano sul fuoco sulla sua onestà personale. Il tema della discussione pubblica oggi dovrebbe quindi essere la scelta di riformare lo statuto del teatro per creare questa direzione a quattro mani. A me, come ho detto, sembra un’ottima idea, altri preferiranno la direzione unica. Sono idee, confrontarle non può che essere positivo.
Ma non è di tutto questo che parliamo. Purtroppo noi ci troviamo costretti a parlare di una guerra culturale, della solita, ormai annosa guerra che a Roma si scatena quando un regista di formazione estranea all’accademia viene investito di responsabilità di direzione. Eppure gran parte dei teatri europei è diretta da artisti che hanno fatto dell’innovazione la propria cifra, e convivono pacificamente con i colleghi più «classici».

LA NOMINA di Giorgio Barberio Corsetti alla direzione del Teatro di Roma è stata del tutto naturale. Un grande artista romano, protagonista della stagione dell’avanguardia degli anni ’70 e ’80, poi maturato sui maggiori palcoscenici internazionali, autore di non so quante regie in Francia, dall’Odeon al festival di Avignone, chiamato a mettere in scena opere liriche nei più grandi teatri del mondo e coi più grandi direttori d’orchestra, se non è di merito che parliamo ditemi allora che cos’è. Ebbene qui si rischia di non riuscire nemmeno a vedere cosa farà a Roma, se le astiose polemiche che lo stanno investendo riusciranno a destabilizzarlo nei prossimi mesi.
Il tema è questo famoso inciampo amministrativo, che, come ha dichiarato pubblicamente Bevilacqua, è stato risolto e superato. Ma non importa. È l’occasione per armare un tribunale mediatico e spingere il Teatro di Roma verso l’ingovernabilità, così da poter cambiare scenario. Quando vent’anni fa diressi il Teatro di Roma venni aggredito a testa bassa da chi non amava né la mia formazione extra accademica né le innovazioni che apportai, e si favoleggiò a un certo punto di un «rosso in bilancio», che si dimostrò poi completamente inesistente. E impressiona che la voce più ostile che si leva contro Barberio Corsetti sia oggi quella di Franco Cordelli, ossia lo stesso critico che guidò le truppe d’assalto alla mia direzione a Roma, lo stesso dopo vent’anni. Né Cordelli né gli altri hanno scritto un solo commento sul programma che è stato annunciato e che costituisce la prima stagione (la prima!) firmata da Barberio Corsetti. Solo richieste veementi di dimissioni, se non peggio.

QUANDO il ciclone investì me ero riuscito a realizzare in un anno il Teatro India e a rivoluzionare cartellone e sistema di abbonamenti (lo ricorda bene Claudio Longhi – al quale vanno i miei auguri più affettuosi per il suo nuovo incarico al Piccolo – che era nella nostra squadra), ma, come dicevo, furono proprio i cambiamenti che provocarono l’ostilità del mondo teatrale più accademico che ben presto riprese prepotentemente il comando del teatro. Eppure le innovazioni che creai durano ancora oggi, a cominciare dal Teatro India, che Francesca Corona, al fianco di Barberio Corsetti, sta finalmente rivitalizzando. Pieno di ragazzi e ragazze come è tornato ad essere, agli occhi di Cordelli sembra un centro sociale. Si può immaginare una più ottusa visione del teatro nel 2020?
Mi auguro che Barberio Corsetti abbia la voglia e la forza di resistere. Che riesca a realizzare i suoi spettacoli senza dover fare come me, che salutai il Teatro di Roma con I dieci comandamenti di Viviani avendo già annunciato che dopo il debutto mi sarei dimesso. Fu l’unico modo per lavorare con calma con i miei attori e realizzare lo spettacolo che volevo. Prima era successo qualcosa di simile a Luca Ronconi, che infatti fuggì a Milano a gambe levate. Insomma, l’in bocca al lupo più grande va al mio amato Teatro di Roma e ai suoi spettatori, che forse meriterebbero di essere lasciati un po’ in pace. Loro il programma lo avranno letto e, poiché è piuttosto interessante, magari avranno anche voglia di seguirlo.