Europa 1989, crolla il muro di Berlino e con lui le ideologie, la cortina di ferro e l’immagine di un’Europa divisa; i confini si fanno liquidi, spostandosi e ridisegnandosi nella disperata ricerca di stabilità in un universo multiforme. Crollano le certezze e la Storia con la “S” maiuscola cede il passo all’urgenza di narrare le piccole storie, quelle quotidiane di chi ha subito negli ultimi 100 anni le trasformazioni sociali e geopolitiche dell’Europa. Un’Europa dai contorni oscuri, bruciati dalla guerra e che cerca chiarezza attraverso le immagini dei suoi maestri del cinema, come Jakubisko, Enyedi, Zanussi, Loznica, Zilnik, Smarzowski, accolti e omaggiati dal Trieste film festival che giunge quest’anno, alla sua 30°edizione.

L’interesse e la cura di Alpe Adria Cinema verso la cinematografia dell’Europa centro orientale trovano conferma sia nella retrospettiva sui capolavori più emblematici dell’ultimo trentennio, omaggio ai 30 anni del festival e alla caduta del Muro, sia nell’attenzione continua per le storie complesse e turbolente della zona calda dell’Europa che in un confronto doloroso con il passato, prendono forma attraverso un percorso narrativo nuovo, dominato dalle trasformazioni del linguaggio e delle tecniche cinematografiche. Tra i film in concorso risaltano, infatti, due titoli appartenenti alla sezione documentari, A Minor Genocide (Un genocidio minore, 2018) della regista polacca Natalia Koryncka – Gruz e Chris the Swiss (Chris lo svizzero, 2018) dell’illustratrice e regista di animazione e documentari Anja Kofmel, dove entrambe le registe intersecano e mettono in connessione due generi consolidati e in antitesi tra loro: il linguaggio diretto del “racconto del reale” proprio del documentario e il linguaggio fantastico, immaginifico dell’animazione.

In Chris the Swiss, documentario-inchiesta vincitore del concorso documentario, la regista Anja Kofmel ricostruisce l’omicidio del cugino, inviato come giornalista durante la guerra dell’ex-Jugoslavia e ritrovato morto con indosso l’uniforme di una milizia paramilitare internazionale. L’indagine della regista seguendo una struttura lineare della narrazione si sdoppia e pone l’attenzione su due livelli, identificati nel linguaggio dell’animazione e del documentario. L’animazione dal tratto nero, denso simile al carboncino su carta, realizzate dalla regista, tenta di ricostruire i fatti e di sciogliere il nodo doloroso per la famiglia dell’autrice, dato dalla mancata comprensione delle scelte così estreme e pericolose del giornalista.

Le immagini di archivio, le interviste e le fotografie cercano di comprendere, invece, le motivazioni delle guerre balcaniche che sconvolsero l’Europa nel 1992 e di far emergere la presenza e il coinvolgimento dell’Opus Dei durante la guerra, incarnata nella divisa paramilitare indossata dal cugino nel momento del ritrovamento, per difendere i confini cristiani della Croazia. Nell’operazione stilistica operata dell’autrice Kofmel si rintraccia la tendenza sempre più forte nell’ultimo decennio – basti pensare al documentario La strada dei Samoini di Stefano Savona con la straordinaria animazione di Simone Massi o al film di animazione Valzer con Bashir di Ari Folman che si conclude con le immagini reali dello stermino di Sabra e Chatila – dell’ibridazione funzionale ed estetica tra animazione e documentario. L’utilizzo dell’animazione, infatti, compensa l’assenza totale o parziale di materiale visivo autentico aggiungendo così informazioni, l’espressione di diversi punti di vista e la sensibilità sia dei protagonisti sia dell’autore. Ne è un esempio A Minor Genocide, dove la regista Natalia Koryncka – Gruz da voce al dolore e alla paura di tre generazioni di donne – nonna, figlia e nipote – segnate dallo sterminio nazista degli abitanti della città di Sochy nel 1943. Attraverso l’intervista alla nonna Teresa Ferenc, una delle poche superstiti, alla volontà di non dimenticare della figlia Anna Janko, scrittrice dell’omonimo libro da cui è tratto il film e l’utilizzo di tecniche miste tra stop motion e animazione realizzate dalla nipote animatrice Zuzanna Majer, A minor genocige si fa testimonianza di una delle tragedie compiute durante la seconda Guerra Mondiale; ma soprattutto cerca di esorcizzare la paura della guerra che ha segnato profondamente tre generazioni.

Il rimescolamento di categorie ritenute inconciliabili come l’animazione e il documentario, aprono la strada a nuove domande sulla condizione del cinema documentario, ma soprattutto spingono a cercare e a trovare nuovi modi di narrare il contemporaneo aderendo, forse, a un’onesta espressiva perduta nella continua manipolazione della realtà.