Agli occhi del mondo, dopo l’India, il voto per il Parlamento europeo è la seconda elezione democratica per importanza sul pianeta terra, con 374 milioni di elettori (per eleggere 751 deputati, che quando la Brexit diventerà realtà saranno ridotti a 705), che per di più ha luogo nella prima potenza commerciale mondiale. Tutto porta a constatare che, a 40 anni dalla prima elezione a suffragio universale dell’Europarlamento nel 1979, l’elezione iniziata il 23 maggio e che si conclude stasera, è la più importante nell’ancora breve storia della Ue.

LA COSTRUZIONE EUROPEA subisce non solo più gli attacchi dall’esterno, ma anche dall’interno, con dei partiti che vogliono il suo ridimensionamento, anche se tra le 56 liste sovraniste e nazionaliste che si presentano complessivamente nei 28 paesi – ed è già una vittoria – solo le formazioni più marginali danno battaglia per una distruzione pura e semplice delle istituzioni comunitarie. L’estrema destra si è convertita complessivamente all’idea di voler ridurre la Ue a una somma di nazioni, con la prospettiva di collaborazioni caso per caso, ma la grande maggioranza di fronte alla confusione della Brexit non milita più per la sua distruzione pura e semplice.

L’estrema destra è ben presente: non solo è al governo in 7 paesi, ma in 5 raccoglie tra il 30 e il 40% dei voti, in 9 supera il 20% e in 17 il 10%.

Ma l’Europa è la patria del surrealismo. Due terzi dei cittadini si dichiarano interessati dall’elezione europea, l’astensione però si annuncia massiccia, come nel passato (a parte e neppure in tutti i 5 paesi dove il voto è obbligatorio: Belgio, Bulgaria, Lussemburgo, Cipro e Grecia). In tutti i 28 paesi, le questioni nazionali si intrecciano – e molto spesso sovrastano – i dibattiti specificamente europei. Stasera, nei 28 paesi, ci sarà quindi una lettura locale dei risultati, prima che europea (tanto più che in molti paesi, a cominciare dalla Spagna, sono abbinati scrutini locali). In alcuni paesi, Francia e Italia in testa, si parla addirittura di «referendum» sui governi in carica.

IN QUESTA ELEZIONE non sono state possibili le liste transnazionali, bocciate dal gruppo Ppe (popolari), che è il più grosso all’Europarlamento (e dovrebbe restarlo, seppure in calo), anche se alcune liste ospitano cittadini di altri paesi. Sullo sfondo, sono venute in primo piano le fratture europee, tra nord e sud, tra est e ovest. Su queste fratture e sulla via da seguire per superarle, avrà grande influenza il voto di oggi: in altri termini, anche se andare a votare non è considerato come una determinazione prioritaria, i cittadini dei 28 paesi dovranno fare i conti con i risultati complessivi, con le decisioni prese al di là del paese di appartenenza, che avranno conseguenze a livello dei differenti stati.

Intanto, nel nuovo Parlamento esploderanno gli equilibri tradizionali: Ppe e S&D (popolari e socialisti) non dovrebbero più avere la maggioranza e quindi dovranno limitare il loro potere e stringere alleanze con altri gruppi.

Le previsioni parlano di un’irruzione del gruppo centrista (oggi i liberali dell’Alde, che potrebbero salire a un centinaio di seggi), con la possibilità di un’intesa con socialisti, verdi e persino di parte del Ppe (nell’eventualità di una riammissione di Orbán). Strasburgo resterà chiaramente a maggioranza europeista. L’estrema destra non dominerà il prossimo Parlamento, sarà tra il 20% e il 30% (oggi sono divisi in tre gruppi), con circa 170 seggi.

Ma, guardando da un’altra prospettiva, c’è da essere preoccupati. Stando alle previsioni, il principale partito rappresentato a Strasburgo resterà la Cdu tedesca, seguita dalla Lega di Salvini, poi il Pis polacco e il Brexit Party di Farage. A seguire il partito di Macron. Cioè, tra i più grossi partiti questa volta rischia di non esserci nessun socialista, anche se la distanza con il Ppe dovrebbe ridursi (mancherebbero una ventina di seggi al S&D per raggiungere il Ppe). La Gue (sinistra) è data in leggero calo.

L’INTRECCIO tra appartenenza partitica e nazionale sarà sullo sfondo della battaglia per la spartizione delle cariche che contano: 5 sono in ballo, le presidenze di Commissione, Consiglio, Parlamento e Bce (in autunno), oltre al posto di Alto Rappresentante Pesc. Oggi l’Italia occupa tre di queste cariche (Tajani al Parlamento, Draghi alla Bce, Mogherini alla Pesc). Domani, rischia probabilmente di restare a mani vuote.