Con il ritorno nelle sale giapponesi di alcuni dei lungometraggi animati che più hanno segnato la storia del cinema dell’arcipelago degli ultimi trent’anni, come Ghost in the Shell, Lupin III – Il castello di Cagliostro o Patlabor 2: The Movie, si solidifica sempre di più una tendenza emersa già da qualche anno. Se infatti i piccoli cinema che proiettano e organizzano retrospettive di film del passato esistono, purtroppo sempre di meno, da moltissimi anni, è un trend in qualche modo recente quello di riprogrammare alcuni classici, magari rimasterizzati o in altissima definizione, nelle grandi catene di multisale.

Lo spunto per questa riflessione giunge dall’arrivo nelle sale Imax, in contemporanea in Giappone e negli Stati Uniti, del capolavoro Ghost in the Shell (1995), animazione diretta da Mamoru Oshii dall’omonimo manga di Masamune Shirow. Un film che tanto ha significato sia per l’affermazione dell’immaginario cyberpunk nel media animato post Akira, sia per la spinta che il lungometraggio seppe apportare all’accettazione dell’animazione giapponese a livello internazionale. La versione rimasterizzata in 4k è, come detto, in questi giorni nelle sale Imax, e in Giappone ha richiamato un vasto numero di appassionati a (ri)scoprire uno dei film animati più importanti degli ultimi cinquant’anni. Ghost in the Shell, con i suoi silenzi e il suo tono riflessivo e filosofico magnificato dalle eteree musiche di Kenji Kawai, è il film perfetto per l’esperienza Imax.

Le ragioni di questa «nuova» tendenza a riprogrammare vecchie animazioni al cinema sono però molteplici. Innanzitutto i classici dell’animazione giapponese, specialmente quelli che si rivolgono a un pubblico trasversale, sono quasi sempre un successo in patria. Sia quando vengono trasmessi il venerdì sera in televisione ad esempio, uno degli ultimi luoghi in cui il piccolo schermo riesce ancora ad aggregare, generando sempre grande interesse ed ascolti, ma anche quando vengono riproposti nei cinema. Alcuni classici dello Studio Ghibli ad esempio, furono usati come «tappabuchi» durante la prima ondata della pandemia lo scorso anno, quando la macchina cinema si era fermata e non c’erano film da proiettare nelle sale, ottenendo anche un discreto successo.

Bisogna poi aggiungere che esiste una sorta di feticismo tecnologico e dell’immagine perfetta a tutti i costi che è cavalcato a dovere dai distributori. Per fare un esempio, se è indubbio che vedere Lupin III – Il castello di Cagliostro sul grande schermo in 4k è diverso che farne esperienza su un piccolo televisore magari in qualità da videocassetta, venderlo come qualcosa di nuovo ogni volta che viene rimasterizzato, prima in 2k poi in 4k, o lievemente ritoccato nel sonoro, è un’esagerazione.

Tanto più quando uno di questi stratagemmi, che in realtà magari parte anche da buoni propositi, cioè quello di far avvicinare vecchi film ad un nuovo pubblico, è la proiezione in sale 4dx. Si tratta di proiezioni in 3d ma lievemente più costose, dove alle tre dimensioni si aggiungono anche fumo, spruzzi d’acqua, vibrazioni e movimenti delle poltrone, elementi che dovrebbero trasformare la proiezione in qualcosa di più avvolgente e «reale». Un’esperienza che si avvicina più a quella del parco di divertimenti e che quasi sempre, ci sono delle eccezioni quando gli effetti sono più contenuti, finisce per avere l’effetto contrario di quello voluto, distraendo lo spettatore della visione.
Nei prossimi anni sarà interessante vedere se questa è solo una moda o una necessità passeggera, o se è un prodromo di quello che le sale cinematografiche stanno diventando, tanto in Giappone che nel resto del mondo.

matteo.boscarol@gmail.com