È durato 27 minuti, ieri mattina in Vaticano, il colloquio tra papa Bergoglio e il presidente della Bolivia, Evo Morales. Un colloquio privato, nella Sala della Biblioteca, iniziato con un abbraccio e il saluto affettuoso del presidente aymara: «Ah, fratello Papa, che gioia vederla. Come sono contento». E’ seguito uno scambio di regali con le conseguenti simbologie. Prima di tutto, Morales ha consegnato una cartella di documenti al papa: “Qui c’è la lettera dei movimenti popolari e tutto il materiale” – ha detto. Un documento inviato dalla Central Obrera Boliviana (Cob) e dalla Conalcam (Coordinadora Nacional Por el Cambio) in cui si analizza il ruolo della chiesa cattolica in Bolivia e quello dei movimenti sociali.

Il nodo affrontato è soprattutto il documento pastorale della Conferenza episcopale di Bolivia (Ceb), emesso il 1 di aprile, in cui i vescovi denunciano la penetrazione del narcotraffico nelle strutture statali e in quelle della polizia. Due giorni dopo, Morales ha invitato le alte gerarchie cattoliche – che in America latina conducono una guerra aperta contro tutti i presidenti socialisti – a rendere espliciti i loro sospetti e a pubblicare i nomi, altrimenti – ha detto – risulterà chiaro che il vostro è un attacco al movimento indigeno. E così, Morales ha offerto al papa tre libri sulla coca – Coca una bio-banca, Coca, dieta citogenica, Coca, fattore anti-obesità . Bergoglio ha risposto: “Grazie”, e Morales ha aggiunto: “La bevanda a base di coca gliela raccomando, io la prendo e mi fa molto bene, così ce la fa per tutta la vita”.

Non è la prima volta che Morales spiazza il papa con gesti simbolici forti. A luglio del 2015, durante il viaggio di Bergoglio in America latina, all’aeroporto gli ha messo al collo un sacchetto con le foglie di coca. E poi gli ha regalato un crocifisso a forma di falce e martello. Una scultura in legno che il pontefice ha portato con sé in Vaticano e che riproduceva uno dei disegni del gesuita “comunista” Luis Espinal, torturato e ucciso dai paramilitari agli ordini di Luis Garcia Mesa, il 22 marzo del 1980: due giorni prima che un altro gesuita, il vescovo Oscar Romero, fosse ucciso in Salvador dagli squadroni della morte.

Due esempi fra i tanti di quel periodo, in America latina, teatro della lotta senza quartiere scatenata dagli Usa e dai suoi regimi contro “il pericolo rosso”. Questa volta, Morales ha portato con sé il busto in legno che raffigura l’eroe indigeno Tupac Katari, vissuto tra il 1750 e il 1781. Un capo aymara che guidò una delle più importanti rivolte contro le autorità coloniali nell’Alto Perù (l’attuale Bolivia), torturato e squartato. Prima di essere ucciso, il leader pronunciò una frase profetica: “Tornerò e sarò milioni”.

Un grido ripreso dagli indigeni di Bolivia durante le lotte che hanno portato alla presidenza l’ex cocalero Morales. Bergoglio ha porto al suo ospite la medaglia di San Martino, patrono di Buenos Aires, che ha donato il suo mantello ai poveri, e due volumi: la recente esortazione sulla famiglia, “Amoris Laetitia” e un suo libro, “Il nome di Dio è misericordia”. E Morales: “Vengo da un paese il cui patrono è san Francesco, sono stato in un sindacato che aveva il nome di san Francesco e ora c’è un papa che si chiama Francesco”. Poi, i due hanno discusso di politiche sociali e dei rapporti tra lo stato boliviano e la chiesa.

E arriva in Vaticano anche il presidente dell’Ecuador, Rafael Correa, per illustrare la sua visione dello sviluppo coniugata alla giustizia sociale, e per dare il suo apporto alla prossima enciclica di Bergoglio, che lo ha invitato come consulente. Intanto, si celebrano, fino a domani, i 25 anni dell’enciclica precedente, di Giovanni Paolo II, la Centesimus Annus, pubblicata all’indomani della caduta del Muro di Berlino. Per l’occasione, la Pontificia Accademia delle Scienze sociali ha promosso un convegno internazionale a cui è stato invitato anche il senatore democratico Bernie Sanders, in corsa per le primarie del suo partito contro Hillary Clinton.

Il senatore “socialista”, che continua a infiammare le platee nordamericane per i suoi discorsi antimilitaristi e contro le ingerenze, è stato accusato di aver voluto sfruttare il viaggio per conquistare – lui ebreo non praticante – il prossimo voto dei tre dei cinque stati più cattolici degli Usa, New York, Rhode Island e Connecticut. Padre Lombardi, portavoce del Vaticano, ha ribadito che non ci sarà un incontro privato con il papa. Ma Sanders ha detto che il viaggio è valsa la pena perché “il papa è una figura straordinariamente amata in tutto il mondo, enormemente popolare negli Stati uniti”.

E ritrovarsi insieme ai due socialisti latinoamericani, Morales e Correa (quest’ultimo reduce da un viaggio negli Usa, dove ha presentato un documentario sul suo paese) può essere il messaggio giusto per conquistare il voto progressista della comunità ispanica.