Una folta barba a incorniciargli il viso che si affaccia sullo schermo in un incontro organizzato via zoom per la presentazione di Paesaggio dopo la battaglia (Cara Catastrofe/SonyMusic, in uscita domani), il disco che segna il ritorno di Vasco Brondi quattro anni dopo la fine decretata del suo progetto Luci della centrale elettrica. Riappropriarsi della propria identità e presentarsi in prima persona, è il senso di questo lavoro composto da brani realizzati prima e durante la pandemia fra Ferrara, Brescia e New York. La copertina è una foto inedita di Ghirri: «È stata scattata dalle parti di Ferrara, mi ha colpito subito perché rappresenta quella strana capacità umana di risorgere se ci si mette d’impegno. Dei gatti si dice che hanno sette vite, gli uomini anche settecento. Nello scatto c’è questo pandino traballante con i fanali accesi che esce come se niente fosse da un’apocalisse, una cosa che contraddistingue l’Italia, la capacità di uscire da situazioni disastrose tirandosi la giacca».

DIECI CANZONI dalle atmosfere a tratti sognanti, a tratti leggere ma non troppo a cui Vasco ha lavorato insieme a Taketo Gohara e Federico Dragogna, impreziosendole attraverso le collaborazioni di strumentisti come Mauro Refosco (Red Hot Chili Peppers, David Byrne), Paul Frazier (David Byrne), fino ad arrivare ad Enrico Gabrielli e Alessandro “Asso” Stefana (PJ Harvey, Vinicio Capossela, Mike Patton). «Questo disco è fatto di battaglie intime e anche collettive, e mi sono accorto che lì dentro c’è stata anche una mia battaglia che è stata quella di scrivere il disco. Il mio rapporto con la musica è fatto di immersioni e allontanamenti. C’è un verso che ho messo nella prima canzone – 26 mila giorni -, ’siamo qui per rivelarci e non per nasconderci’, per me questo è stato un mantra seguito durante la scrittura. Chitarra nera (con il video diretto da Davide Vicari, interpretato da Elio Germano, ndr) è così, non prevedevo di scrivere un album infatti è nata come una sorta di flusso di coscienza». Sembra quasi un poema greco ma senza morale, racconta una storia di vita e realtà.
Paesaggio dopo la battaglia è popolato di storie, di personaggi provenienti da mille Italie diverse: «C’è quella dei rider che giravano solitari le città durante il lockdown e quella di Il sentiero degli dei (che chiude l’album con una chitarra acustica grezza, ndr), dove metto la razza umana che si è sempre sentita dominatrice dell’universo. La situazione creata dalla pandemia ci ha molto ridimensionato e fatto capire che non siamo superiori a nessuna specie. Siamo su questo pianeta da poco più di duentomila anni, gli alberi da cinque milioni: non credo ci sarà tanto facile arrivare a quel tipo di evoluzione. Stiamo interagendo con il nostro ambiente rendendolo sempre più inadatto alla vita umana e più adatto ai virus».

LA SCRITTURA e la composizione possono essere però un toccasana, un anticorpo: «Mi sono fermato perché ero un po’ disilluso dell’ambiente musicale che vedevo definito in maniera orizzontale, ovvero fatto per espandere sempre di più il pubblico attraverso canzoni composte come fossero un’opera ingegneristica, come fosse il copyright di una pubblicità, la frase ficcante per andare in radio, espandere i followers sui social. Fermarsi è stato un toccasana e quando ho ricominciato a scrivere, ho sentito che le canzoni rinforzavano il sistema immunitario, almeno quello dell’anima. Così ho capito come fosse fondamentale pensare la musica non orizzontalmente, ma verticalmente cercando nel profondo e provando ad accedere ad altre dimensioni».
Brondi racconta per poesia, sacra o profana che sia. Cita il Sant’Agostino di «amate e fate ciò che volete» in Ci abbracciamo ma anche Franco Arminio, i Partigiani narrati da Fenoglio. Non è un caso che Brondi abbia pensato per promuovere il disco a incontri nelle università tra filosofi, filologi, psicologi e scrittori, un anomalo «tour» che prenderà il via il 28 giugno dal Castello Sforzesco di Milano.