Le donne polacche si prendono di nuovo le piazze del Paese. Un’adesione massiccia con cortei che si sono svolti in almeno 60 città. L’alta partecipazione non deve sorprendere anche alla luce delle proteste, culminate nel «lunedì nero», che lo scorso ottobre avevano spinto il partito di governo della destra populista, Diritto e giustizia (PiS), a fare marcia indietro su un provvedimento che avrebbe inasprito ancora di più l’attuale legislazione sull’aborto, una delle più restrittive nel mondo. La legge attuale autorizza l’interruzione volontaria di gravidanza in tre sole situazioni: quando la vita della madre è a rischio, quando il feto è danneggiato, e infine, quando esiste il sospetto fondato che la gravidanza sia legata a un crimine di violenza sessuale.

La maggioranza delle iniziative di protesta si sono svolte sotto la sigla «Sciopero nazionale delle donne» (Ogólnopolski strajk kobiet, Osk), una rete nata proprio in occasione di quel lunedì nero. Molti dunque gli ombrelli scuri reduci dal Black monday a sfilare in piazza ma anche tantissime donne non affiliate a nessuna organizzazione. «Se siamo qui è per chiedere dignità e diritti», racconta Barbara una donna di mezza età in un corteo a Cracovia a pochi metri dal palazzo arcivescovile dove papa Francesco si era affacciato l’estate scorsa davanti a migliaia di fedeli in occasione della giornata mondiale della gioventù. Dietro di lei tanti ombrelli scuri che marciano al ritmo di un allegro cacerolazo suonato con padelle rigorosamente nere.

Nella capitale le manifestazioni hanno invaso i luoghi della politica. Nella mattinata di ieri centinaia di persone si sono radunate davanti alla sede del PiS, in via Nowogrodzka a Varsavia, per un’iniziativa ribattezzata dagli organizzatori «Muro di rabbia»: una parete umana contro tutte le barriere che restano da abbattere per ottenere più diritti.

Nel pomeriggio poi alcune scioperanti si sono ritrovate davanti alla sede del Sejm, la camera bassa del Parlamento polacco per un happening intitolato «Fiori polacchi», conclusosi con una distribuzione solidale di quei fiori che le donne non sono disposte ad accettare in regalo dai deputati. Una praticata incoraggiata anche durante il comunismo con le celebrazioni dell’8 marzo organizzate un tempo dai burocrati di partito che prevedevano la distribuzione di garofani per glorificare la donna socialista negli anni della Repubblica Popolare di Polonia. «Con le sue iniziative il governo vuole privarci anche del nostro diritto come pazienti a ricevere cure mediche e assistenza prenatale», spiega Anna una militante dell’Osk.

La temperatura è salita ancora di più in Polonia dopo le dichiarazioni del politico conservatore Janusz Korwin-Mikke a Strasburgo. «È normale che le donne debbano guadagnare meno degli uomini visto che sono più deboli e meno intelligenti di loro», aveva dichiarato la settimana scorsa il deputato polacco che adesso rischia l’ennesima sospensione al Parlamento europeo.

Le parole di Korwin-Mikke e la questione dell’aborto spingono le scioperanti a non abbassare la guardia, ma le donne in Polonia hanno molti altri motivi per dire nie all’offerta di mazzi di fiori. La frazione gowinista e più conservatrice del PiS, legata al ministro polacco della Scienza e dell’istruzione Jaroslaw Gowin, rievoca periodicamente la possibilità di chiedere il ritiro di Varsavia dalla Convenzione di Istanbul, un accordo del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e il contrasto della violenza contro le donne e la violenza domestica.

E il governo  targato PiS, da parte sua, non perde occasione per limitare i diritti: è di pochi giorni fa l’annuncio di un provvedimento che mira a reintrodurre l’obbligo di ricetta per l’EllaOne, la «pillola dei 5 giorni dopo» commercializzata nel 2015 e che dovrebbe invece essere acquistabile in farmacia senza prescrizione nei paesi Ue come deliberato dall’Agenzia europea dei medicinali.