Pioggia e rabbia ieri a Varsavia e nelle altre città polacche, con migliaia di manifestanti che sono tornati a riaprire i loro ombrelli scuri in piazza, esattamente un anno dopo quel lunedì nero che aveva spinto il Sejm, la camera bassa del parlamento polacco a bocciare il divieto totale di aborto a Varsavia. Una mobilitazione che ha coinvolto ancora una volta anche la diaspora polacca in altre città europee e oltreoceano. Sono alcune migliaia, secondo le prime stime degli organizzatori, le persone che si sono ritrovate ieri in strada per ricordare il Black Monday.

Ma non ci sono molti motivi per festeggiare: a luglio scorso infatti il governo della destra populista di Diritto e giustizia (PiS) ha reintrodotto l’obbligo di ricetta per EllaOne, la «pillola dei 5 giorni dopo». Nonostante l’Agenzia europea dei medicinali abbia deliberato che dovrebbe essere acquistabile in farmacia senza prescrizione nei paesi Ue, il Commissario alla Salute e Sicurezza Alimentare dell’Unione Europea Vytenis Andriukaitis ha poi dato il proprio beneplacito alla decisione del PiS.
Il Comitato «Salviamo le donne» uno dei maggiori promotori di questo martedì nero – riunisce Twoj Ruch, Razem, Verdi e altre sigle di sinistra – ha già raccolto più di centomila firme per una legge di iniziativa popolare che mira a liberalizzare l’aborto entro la 12ma settimana di gravidanza.

Ma anche i fautori del pro-life, spalleggiati dal movimento civile teo-con Ordo Iuris, si sono impegnati a trovare dei firmatari per presentare una proposta di legge ancora più restrittiva che porrebbe il divieto all’interruzione volontaria di gravidanza anche in caso di malformazione del feto. Attualmente la legislazione polacca permette di praticare l’aborto in tre circostanze: quando la gravidanza mette a repentaglio la salute della madre, quando il feto è danneggiato, e quando esiste il sospetto fondato che la gravidanza sia il risultato di un crimine.

Ma la partita del martedì nero si gioca anche sul terreno del rapporto tra stato ed enti locali. Questi ultimi continuano a finanziare in alcuni casi la fecondazione assistita alle coppie che ne facciamo domanda. La spesa media per famiglia nel caso in cui decida di ricorrere al metodo in vitro oscilla tra 2 e 3 mila euro. Ma i fondi stanno finendo e l’Agenzia per la valutazione della tecnologia e della tariffazione medica (AotMiT), controllata dal ministero della Salute, potrebbe multare gli enti regionali che continueranno a offrire misure di sostegno in questo ambito.