La storia urbana di Varsavia riveste un interesse particolare rispetto a quelle di altre capitali d’Europa, non fosse altro perché nell’arco di tempo di quattro decenni vide – dopo la dominazione zarista e una breve stagione di indipendenza (1918-1926) presto sostituita dal regime di risanamento (Sanacja) di Józef Piłsudski – il totalitarismo nazista (1939) e con la fine della seconda guerra mondiale, l’ingresso della capitale polacca nell’orbita del blocco sovietico.
Il succedersi di eventi così variegati e complessi, ma soprattutto di radicali perdite e distruzioni, non impedirono il progressivo compiersi della modernizzazione in forme del tutto originali e rivoluzionarie che meriterebbero da noi di essere conosciute più a fondo. In particolare ciò che fu la ricostruzione nel dopoguerra di Varsavia: gravemente rasa al suolo e rinata attraverso la ripresa di teorie, modelli e piani dell’architettura modernista degli anni Trenta lì dov’era e, in buona parte, com’era. Di questo si è discusso durante il meeting di architettura organizzato dalla British School at Rome con l’architetto e critico polacco Grzegorz Piatek. Co-fondatore del varsaviano Centre Architektury e vincitore nel 2008 con il padiglione polacco del Leone d’oro alla Biennale di architettura di Venezia, Piatek è da tempo impegnato in un serio lavoro storico intorno al tema della ricostruzione della capitale polacca nel periodo dei due conflitti bellici mondiali fino agli anni del postcomunismo.
A lui abbiamo rivolto alcune domande riguardanti Recostructing Warsaw – questo il titolo della sua conferenza – augurandoci che i suoi scritti possano essere tradotti e pubblicati presto anche da noi, così da colmare una lacuna storiografica che, come altre, da tempo attende di essere sanata.

Varsavia_1956 (Lessing. Magnum Photos)
Varsavia, 1956 Foto Lessing, Magnum Photos

Dopo la tragedia della seconda guerra mondiale Varsavia con la sua ricostruzione volle fare ciò che non riuscì a Le Corbusier nel 1925 con il Plan Voisin: realizzare un modello sociale e non solo urbanistico di città. Era necessario, infatti, formare l’uomo socialista… È d’accordo con Mumford che questa è la vera novità, almeno prima della sovietizzazione?
È vero, la ricostruzione post- bellica interessò una pianificazione intesa come ingegneria sociale. Era necessario fornire migliori condizioni di vita (bassa densità, più verde, più alloggi e trasporti), per progettare e ingegnerizzare il modo in cui le persone usano la città (la fantasia insoddisfatta di Le Corbusier), ma anche per creare una nuova società, più o meno egualitaria, nella quale la classe operaia potesse godere di servizi cui solo la borghesia aveva avuto accesso prima della guerra: istruzione, ricreazione, cultura. È molto sintomatico che la decisione di ricostruire Varsavia, presa nel gennaio 1945, sia stata quasi immediatamente seguita dalla scelta di nazionalizzare l’intero settore immobiliare in città. L’obiettivo era di facilitare la pianificazione e la ricostruzione, ma anche di indebolire la borghesia.

Non crede che Roma e Varsavia abbiano in comune il fatto di essere «capitali simboliche», per usare le parole dell’economista Galbrait? Nel senso che entrambe non divennero mai «città capitali» al pari di Parigi, Londra o Berlino…
Varsavia è certamente più di una capitale in senso politico-amministrativo. Per tutto il diciannovesimo secolo, quando lo stato polacco non esisteva, ha rappresentato il centro della cultura polacca, del movimento per l’indipendenza etc. Nel 1945, quando Varsavia giaceva fra le rovine si è discussa, per un breve periodo, l’idea di non ricostruirla e di spostare la sede del governo in un’altra città, ma questo proposito fu rapidamente respinto.

Nelle università polacche a che punto sono gli studi del moderno in architettura? Per intenderci, il periodo di Stanislaw Towinski, del lavoro di Chmielewski e Syrkus, della «Varsavia funzionalista», prima della sovietizzazione: un’epoca importante per gli sviluppi della capitale tra il 1949 e il 1956.
L’influenza delle idee funzionaliste dell’anteguerra sulla ricostruzione post-bellica fu enorme. Dopotutto, è stato lo stesso gruppo di persone – progettisti, architetti, specialisti del restauro – che pianificarono Varsavia nel 1930 che disegnarono i piani di ricostruzione dopo la guerra. L’eredità sopravvisse. Oggi c’è un generale ritorno ad approfondire questa fase della storia dell’urbanistica e architettura polacche.

Varsavia, tra Europa e Russia, è stata sempre permeabile alle influenze esterne: anni Venti, avanguardie moderniste, anni Trenta, monumentalismo classicista, anni Cinquanta, Realismo socialista. Nell’era dell’economia globale quali sono oggi le tendenza egemoni? Ci sono esperienze significative di «regionalismo critico»?
Varsavia è una città completamente globalizzata, che si adatta velocemente a qualsiasi tendenza – sia essa in architettura, nella gastronomia o nella moda. Gli architetti locali e le pratiche globalizzate riversano decine di edifici per uffici, grattacieli, centri commerciali ecc. che potrebbero anche stare nel paesaggio urbano di Londra, Milano o di qualsiasi altra moderna città del mondo.
Tuttavia vi è una crescente nostalgia per l’architettura e, in generale, un sentimento per la Varsavia dell’anteguerra e per i primi decenni del dopoguerra. Il neo-modernismo è uno stile richiesto per le nuove abitazioni come il periodo tra il 1930 e il 1960 è considerato il momento migliore per l’alloggio a Varsavia. Gli anni Cinquanta e Sessanta sono invece importanti per i designer perché motivo di ispirazione per i mobili, la grafica e le insegne al neon. Allo stesso tempo, edifici originali di quel periodo, anche i più preziosi come il grandi magazzini Cdt ed Emilia, si demoliscono mentre stiamo qui a parlare.