Yanis Varoufakis è un personaggio eclettico: economista radicale, marxista, accademico, scrittore, militante anti-austerity, ex consulente per una società di videogiochi statunitense, appassionato di Harley Davidson. E ora ministro delle Finanze per il neoeletto governo di Alexis Tsipras.

Varoufakis è nato ad Atene nel 1961, qualche anno prima del golpe militare del 1967: un’esperienza profondamente traumatica per il giovane Yanis. «Crescere in una dittatura fascista è un’esperienza atroce, indimenticabile, che ti segna per la vita. Capisci che quello per cui ti batterai sempre è la libertà».

La dittatura crollò nel 1974, poco prima che Yanis terminasse la scuola media. Poiché al tempo la prospettiva di un altro colpo di stato non era da escludere – e gli studenti erano sempre le prime vittime delle forze militari e paramilitari –, i genitori scelsero di fargli proseguire gli studi in Inghilterra. Nel 1978 si iscrisse all’università di Essex: facoltà di economia. «Avrei voluto studiare fisica ma capii ben presto che la lingua franca del discorso politico era l’economia», dice. Dopo un paio di settimane, però, si rese conto che quella che veniva spacciata per economia altro non era che «semplicistici modelli matematici utilizzati per giustificare le teorie economiche più atroci. Eravamo nel pieno della controrivoluzione neoliberista dopotutto». Decise allora di mollare il corso di economia. «Se devo passare tutto il tempo a studiare modelli matematici, tanto vale che mi iscrivo a matematica, mi dissi». E così fece. Dopo la laurea, si iscrisse a un master di statistica matematica all’università di Birmingham. «A quel punto ero convinto che mi fossi lasciato l’economia alle spalle per sempre. Quanto mi sbagliavo!».

[do action=”quote” autore=”Yanis Varoufakis”]«Quando un partito politico che sta per salire al governo ti offre la chance di implementare quelle politiche che vai proponendo da anni, sarebbe da codardi tirarsi indietro»[/do]

Tutto cambiò il giorno che incappò per caso in un articolo di econometria. «La grossolanità metodologica dell’articolo – che cercava di giustificare qualche ridicola tesi sulle dispute sindacali – mi fece infuriare così tanto che decisi di demolirlo. E fu così che ricascai un’altra volta nella trappola». Seguirono una serie di altri «trattati anti-economici», come li definisce lui, e infine un dottorato in… economia. Tra il 1982 e il 1988 insegnò in varie università britanniche. Ma il suo amore per la perfida Albione cominciò ad incrinarsi la notte del 1987 in cui la Thatcher venne rieletta per la terza volta. «Mi sono detto: è troppo. E ho cominciato a cercarmi un’alternativa». L’avrebbe trovata nella lontana Australia, dove prese servizio all’inizio del 1988 all’università di Sydney. Lì ebbe anche una figlia. Vi rimase fino al 2000, quando la nostalgia per la madrepatria e il disgusto per il governo conservatore in carica – «Andò al potere un piccoletto fascistissimo che si chiamava John Howard e capii che la situazione mi stava stretta» – lo fecero rientrare ad Atene, dove divenne preside della facoltà di economia.

La sua vita cambiò nuovamente in seguito alla crisi finanziaria del 2008. Tramite il suo blog (yanisvaroufakis.eu), seguitissimo, Varoufakis iniziò a diventare una figura centrale del dibattito pubblico. Ma è stata l’esplosione della crisi nell’eurozona, e soprattutto in Grecia, a catapultarlo al centro del palco mediatico. Negli ultimi anni, infatti, l’economista si è imposto come una delle più autorevoli voci critiche del continente, attaccando i dogmi dell’austerità e del neoliberismo con grande lucidità e senza peli sulla lingua. Nel frattempo ha intessuto rapporti sempre più stretti con Alexis Tsipras, culminati nella richiesta – in extremis, pochi mesi fa – di candidarsi nelle liste di Syriza. Un’offerta che ha colto Varoufakis di sorpresa ma che l’economista militante non se l’è sentita di rifiutare.

«Quando un partito politico che sta per salire al governo ti offre l’opportunità di implementare quelle politiche che vai proponendo da anni, sarebbe da codardi tirarsi indietro», dice. «Chi mi conosce sa che sono anni che mi sforzo, come tanti altri, di elaborare proposte realistiche e ragionevoli per risolvere la crisi dell’euro. Ma ormai ho capito che queste proposte non hanno alcuna speranza di essere ascoltate se non vengono portate al tavolo dell’Eurogruppo e dell’Ecofin».

Ora, da buon marxista, avrà finalmente l’opportunità di trasformare quell’Europa che finora si è limitato a interpretare.