L’Europarlamento ha approvato ieri la nuova politica agricola comunitaria (Pac), dopo un lungo periodo di discussione, in seguito alla proposta di riforma presentata dalla Commissione nel 2018, adottata in Consiglio solo nel giugno scorso. La riforma della Pac entrerà in vigore il primo gennaio 2023 e durerà fino al 2027. Rappresenta un terzo del bilancio pluriennale Ue (386,6 miliardi di euro su 1210). Il primo paese beneficiario è la Francia (18%, un po’ meno di 10 miliardi), seguita dalla Spagna (12%), dalla Germania (11%) e dall’Italia (5,3 miliardi). La nuova Pac è un difficile tentativo di quadratura del cerchio: la riforma è stata preparata nel 2018, prima della svolta «verde» del Green Deal del 2020 e le esigenze dettate dalla lotta al riscaldamento climatico.

Le due grandi correnti che rappresentano la sinistra in Europa – la socialdemocrazia e l’ecologia – si sono profondamente divise di fronte alla nuova politica agricola comunitaria. Per il verde Philippe Lambers, «la maggioranza ha votato scientemente per la perpetuazione di un modello di agricoltura che distrugge la Terra e la vita, e uccide i piccoli agricoltori a profitto dell’agro-industria, sette lunghi anni di più, uno spreco».

Come si concilia la nuova Pac con il Green Deal, si chiede l’europarlamentare verde francese Benoît Biteau, che denuncia una «assenza totale di coerenza», con le esigenze della politica From Farm to Fork, che prevede una riduzione del 50% dei pesticidi, meno 20% di concimi di sintesi, 25% di biologico entro il 2030: «questa Pac continuerà ad accompagnare un’agricoltura agli antipodi di ciò che volevamo fare con il Green Deal».

Giudizio opposto del gruppo S&D, anche se ci sono stati dissensi nel voto: «abbiamo dato forma a una nuova Pac verde, giusta e più sociale, per la prima volta in 60 anni c’è una condizionalità sociale» e «uno spirito verde rafforzato».

La nuova Pac rappresenta una ri-nazionalizzazione delle politiche agricole, in nome di una maggiore flessibilità e adattamento alle esigenze locali, molto diverse tra le zone agricole europee: Bruxelles darà le grandi linee-quadro, ma la realizzazione sarà lasciata ai «piani strategici nazionali», che gli stati devono presentare entro fine anno (anche se molti sono in ritardo e non potranno rispettare la scadenza), che dovranno ottenere l’approvazione della Commissione, prevista entro aprile. Il commissario Janusz Wojciechowski ha già fatto sapere che sarà di manica larga: non respingerà i piani nazionali sulla base del Green Deal, ma userà lo strumento della «persuasione» se ci saranno grosse contraddizioni.

Tra le novità della Pac, la «condizionalità» sociale: gli aiuti andranno soltanto alle aziende che rispettano le norme sul lavoro e l’occupazione (per i sindacati italiani è una ottima notizia, vista la situazione di illegalità esistente nel settore). Inoltre, il 22% degli aiuti diretti saranno condizionati al rispetto delle norme ambientali, percentuale che salirà al 25% nel 2025. Il problema saranno i controlli.

La Pac viene da lontano. Per anni ha rappresentato la metà del bilancio comunitario. Era la politica più importante, con l’obiettivo di assicurare l’indipendenza alimentare di un continente uscito dalla guerra. Per anni, quindi, ha favorito lo sviluppo a tutti i costi, l’agro-industria, lasciando ai margini i piccoli produttori. Tra i principali beneficiari c’è il principe Alberto di Monaco e, prima della Brexit, la regina d’Inghilterra. Il sostegno al mercato e ai prezzi resta ancora oggi, così come quello al reddito degli agricoltori, che rappresenta il 70% dei finanziamenti destinati ai 6-7 milioni di aziende agricole della Ue.