Ancora un ultimo incontro, il tentativo di una donna di lasciarsi con un addio civile e l’uomo che invece si presenta con il deliberato proposito di farla finita in un altro modo, un progetto di annientamento. In questo caso il progetto di darle fuoco, di incenerirla. Una morte orribile, da strega. Mentre a Caserta un’altra donna, Rosaria Lentini di 59 anni, viene uccisa con 12 pugnalate alla schiena dall’uomo con cui conviveva in un camper, Nicola Piscitelli di 55 anni, che si è costituito.

Vania Vannucchi è morta ieri all’alba, poche ore dopo Rosaria, nel centro grandi ustionati dell’ospedale di Cisanello a Pisa, ospedale in cui da febbraio era andata a lavorare, anche per fuggire a quel suo ex collega che la minacciava, che la perseguitava di messaggi sul telefono e solo pochi giorni fa si era addirittura introdotto in casa per portarle via uno dei suoi due cellulari.

Era stata questa la goccia che aveva fatto scattare una denuncia da parte di lei, denuncia per furto contro ignoti però, e che comunque si era detta pronta a ritirare se lui gli avesse restituito il telefono e l’avesse finalmente lasciata in pace. Così si erano dati appuntamento all’ora di pranzo in un piazzale dell’ospedale di Lucca dove fino a un anno prima lavoravano insieme in una cooperativa di servizi, non lontano dalla mensa. La telecamera del piazzale ha registrato il loro ennesimo litigio, poi in un punto fuori campo lei è risalita sulla sua auto bianca, pronta a accendere il motore e lasciarselo alle spalle. Un ultimo indugio, lui, arrivato in scooter, l’ha raggiunta di corsa, dal finestrino abbassato per lasciare aperto, ancora, una possibilità di scusa, le ha versato una bottiglia di benzina addosso, e quando è uscita dall’abitacolo gridando, lui non ha esitato a far scattare l’accendino anche se ora dice di aver solo acceso una sigaretta.

Quando i lavoratori in pausa mensa sono accorsi era troppo tardi. «La benzina penetra in modo molto veloce e invasivo nei tessuti – spiega l’ustionologo del reparto che l’ha avuta in cura, Christian Pascone – quando la donna è arrivata qui aveva ustioni profonde sul 90 per cento del corpo, abbiamo potuto solo sedarla e sostenerla, non si poteva fare altro. Purtroppo in casi del genere è questione di secondi, i soccorritori avrebbero dovuto essere sul posto e soffocare le fiamme immediatamente». Invece i due erano soli, senza testimoni. Lei ha provato a correre, a togliersi i vestiti che le si attaccavano alla carne, ce l’ha fatta a dire ciò che era successo: «È stato Pasquale Russo, ditelo al mio babbo e a mio marito». Le due secchiate d’acqua che le hanno gettato addosso hanno spento le fiamme.

Pasquale Russo, ex collega ossessionato dalla relazione con lei, 46 anni, tre figli e una moglie di cui Vania era amica, è stato prelevato nella sua casa di Capannori in serata e ha provato a negare, a coprire le tracce: la tuta macchiata di nero fumo, una bruciatura su un braccio. Ora è agli arresti con l’accusa di omicidio volontario, premeditato. Quando l’hanno ammanettato sotto le luci delle telecamere un vicino di casa, uomo, gli ha gridato: «Perché, perché l’hai fatto?».

Ma forse la domanda è un’altra. Perché Vania non ha denunciato il suo torturatore? Perché non ha chiesto aiuto per liberarsi da questo giogo pericoloso? La domanda rimbalza tra amiche e parenti della donna uccisa che raccontano di averla più volte consigliata di farlo.

Daniela Elena Caselli, presidente dell’associazione Luna che gestisce le due case-rifugio contro maltrattamenti, violenze e stalkeraggio ai danni delle donne a Lucca, si fa questa domanda in modo insistente ma dal suo punto di vista, si chiede: cosa è che non funziona nella nostra rete di protezione? Perché la rete a Lucca c’è e potente e invece «questa donna non siamo riusciti a intercettarla, ora dobbiamo capire come possiamo migliorare».

La rete di protezione antiviolenza in Toscana non è senza smagliature ma si compone, oltre che del coordinamento Tosca dei centri antiviolenza, della cosiddetta Task force Codice rosa. Si tratta di una sinergia creata tra Asl, procure, forze dell’ordine. Gli ospedali mettono a disposizione una «stanza rosa» riservata alle donne picchiate e maltrattate, il personale sanitario e della polizia addetto a prendere le denunce è appositamente formato e i referti medici, predisposti anche a inserire gli stati emotivi della vittima da usare per eventuali procedimenti penali, sono secretati.

«Abbiamo lavorato molto a Lucca in questi anni. Dal 2010 al 2012 abbiamo avuto 12 femminicidi, un record – spiega ancora Daniela Elena Caselli – e dal 2012 quando abbiamo attivato il codice rosa più nessuno, fino a questo caso di Vania, che essendo un’operatrice sanitaria doveva conoscere i servizi antiviolenza, forse ha avuto un timore di riservatezza per i suoi due figli o per l’ex marito carabiniere. Ma tante donne abbiamo preso per i capelli, le due case rifugio sono sempre piene».