Forse qualcuno ricorda La corrida, la trasmissione tv dove si esibivano dei dilettanti di fronte a un pubblico pronto allo sberleffo. Ecco, i festival di cinema sono un po’ così. Certo, i film non sono fatti da dilettanti, ma per molti la sarcastica risata forzata o il buh finale è doveroso. E i giudizi quasi sempre non sono sereni ma iperbolici, si passa dal grande capolavoro alla boiata pazzesca con assoluta disinvoltura. Fa parte del gioco. Come la claque organizzata dagli uffici stampa alle proiezioni ufficiali per poi far scrivere ai vari giornali con quanti sterminati minuti di applausi sia stato accolto il film. Non credete, è pura fiction, come doveroso per il cinema, anche quando è documentario. Lo sa bene Julian Schnabel, pittore spesso prestato al grande schermo, che ha presentato in concorso At Eternity’s Gate (alle porte dell’eternità). Un film su Vincent Van Gogh, ma Schnabel si affretta a precisare «questa non è una biografia… è un film sul significato dell’essere artista. È finzione…».

Partiamo allora dal titolo che deriva da un’affermazione di Van Gogh di fronte al paesaggio sterminato che gli si presenta davanti nel Sud della Francia. Quel paesaggio gli suggerisce l’infinito, l’eternità. Solo che per fargli raggiungere quel paesaggio Schnabel lo ha pedinato con la macchina a mano per un tempo, questo sì, eterno. Il racconto si muove per quadri narrativi. Parigi e i pittori con Gauguin insofferente, Arles, le stramberie alcoliche di Vincent, l’affetto e il sostegno di Theo, i ritratti di personaggi che vivono davanti ai nostri occhi, il postino Joseph Roulin, il dottor Gachet etc., la lite con Gauguin, l’orecchio mozzato, l’ospedale psichiatrico, la fine con un colpo di pistola avvolto nel mistero, autoinferto o sparato da due ragazzotti in sintonia con l’ostracismo dei compaesani?

Gli episodi famosi e noti della vita di Van Gogh ci sono tutti, compresi l’unica recensione entusiasta avuta in vita da parte di George-Albert Aurier, ma l’attenzione del regista è sull’atto creativo, sul suo modo così personale di mettere il colore, di lavorare a grande velocità, sulla capacità di cogliere nella natura qualcosa di nuovo in quel che pure si è visto tante volte. Qui però Julian si lascia troppo affascinare dall’essere collega di Vincent, si perde nella lucida e geniale follia creativa di Van Gogh, aggiunge anche un po’ di senno di poi, a proposito del fatto che sarebbe stato capito in futuro. All’inizio del film vediamo un campo di girasoli appassiti su un terreno inaridito, forse sono i nostri tempi, disposti a cacciare milioni per il quadro di un artista che non era mai riuscito a venderne uno in vita. Un paio d’anni fa vennero ritrovati su un quaderno decine di disegni di Van Gogh. Valore inestimabile o falso colossale? Schnabel ci gioca narrativamente, come ha fatto con Willem Dafoe, magnifico «sosia» del grande Vincent, ma anche ottimo interprete in una parte complessa. Per gli altri solo camei.