«Vamos Nico». Lo slogan è stato ripetuto da una folla di camicie rosse riunite nel centro di Caracas nella notte di domenica, quando il Consiglio nazionale elettorale ha dichirato la vittoria di Nicolás Maduro nelle presidenziali venezuelane. L’attuale presidente ha raccolto il 67,7% dei voti contro il 21,1% del maggior oppositore, l’ex governatore (ed ex chavista) Henri Falcón. Molto distaccati gli altri candidati: 10,8% per il pastore evangelico Javier Bertucci e solo lo 0,4% per Quijada. Un successo che si è concretizzato in una giornata senza incidenti e sotto il controllo di un numeroso gruppo di osservatori e «accompagnanti» internazionali.

MADURO GOVERNERÀ dunque per altri sei anni (dal 2019 al 2025). Una vittoria sulla quale, però, si estende l’ombra non solo nel rifiuto di riconoscere i risultati delle presidenziali da parte dell’opposizione riunita nella Mud e nel Frente amplio e del candidato perdente Falcón – per i quali si tratta di elezioni «prive di legittimità»- quanto dalla scarsa affluenza: poco più del 46%, la più bassa delle ultime tre elezioni presidenziali. E ben al di sotto del 65-67% previsto dalle inchieste e sperato dal fronte chavista. Nelle presidenziali del 2013, Maduro si era imposto su Henrique Capriles con più di sette milioni di voti: 1,5 milioni in più quelli ottenuti domenica.

«Quanto mi avevano sottostimato», ha esclamato Maduro nel suo discorso dopo l’annuncio del successo elettorale. «E invece abbiamo vinto di nuovo queste elezioni storiche» ha continuato il leader del movimento bolivariano fra gli applausi della folla. Un discorso molto emotivo . Quasi liberatorio, perché la posta in gioco era alta — come aveva dichiarato in precedenza: «O il voto o le pallottole», viste le minacce che provengono dagli Stati uniti e dai governi di destra dell’America latina. Ma anche un discorso da statista. «Credo nella pace, nel dialogo, nella costituzione» ha proseguito. Per questo «tendo le mani non solo ai candidati che hanno partecipato alle elezioni, ma anche all’opposizione che non ha partecipato ». «Convocherò tutti loro nei prossimi giorni –ha annunciato Maduro- perché partecipino a una giornata di dialogo nazionale per discutere del futuro del paese». «Prepariamoci a difendere il Venezuela», ha concluso. Mentre la folla rispondeva: «Con Maduro estoy seguro».

È POCO PROBABILE che l’invito del presidente venga accolto. Ancor prima che si conoscessero i dati definitivi delle elezioni, Falcón si è rivolto alla stampa per dire che non riconosceva la legittimità di queste presidenziali – denunciando «vendita di voti» e il controllo del Psuv, il partito del presidente, su molti centri elettorali. E chiedendo «nuove elezioni il prossimo ottobre». Ma soprattutto l’opposi zione – più di venti partiti e organizzazioni che avevano bol lato le presidenziali come «una truffa» e non avevano presentato alcun candidato, chiedendo ai venezuelani di boicottare le elezioni – ritiene un suo successo la bassa affluenza. E dunque è probabile che, forte dell’appoggio degli Stati uniti e degli alleati succubi dell’America latina (ma anche dell’Unione europea), si prepari a una spallata contro il governo. Juan Pablo Guanipa, portavoce del Frente Amplio ha ribadito che «il processo elettorale è stato una farsa di un dittatore che vuole mantenersi al potere senza l’appoggio popolare».

PRIMA E DURANTE la campagna elettorale, l’opposizione si è dimostrata divisa e litigiosa. Senza un programma decente e senza un leader che potesse e sapesse rappresentarla e motivarla. Secondo alcuni analisti la scarsa affluenza alle urne non si deve a un appoggio alla linea di partiti che, nei fatti, hanno lasciato sola e senza indicazione la popolazione, dopo averla incitata a scendere nelle strade, a ribellarsi e a spingere la protesta ai limiti della guerra civile. Anche nelle regioni – come Táchira – dove le manifestazioni erano state più massicce e violente si è evidenziata più un’apatia e un’impotenza che una mobilitazione a favore dell’astensionismo. Inoltre le enormi difficoltà della vita quotidiana, con un’inflazione che secondo il Fmi è a cinque cifre, hanno causato una grande diffidenza di parte della popolazione nei confronti dei politici.

DIETRO L’OPPOSIZIONE però si allunga l’ombra aggressiva dell’amministrazione Trump, che ha già dichiarato di non riconoscere il risultato delle elezioni presidenziali, imitata dal Gruppo di Lima – che raccoglie 14 paesi latinoamericani in gran parte governati dalla destra. Gli Usa minacciano nuove e dure sanzioni che potrebbero assomigliare al blocco economico-commerciale-finanziario imposto da più di cinquant’anni a Cuba.

Di fronte a questa situazione il «nucleo duro» del chavismo ha resistito, come dimostrano i quasi sei milioni di voti raccolti da Maduro. Nonostante «la guerra economica» e le durissime condizioni di vita, nonostante una campagna mediatica aggressiva interna e soprattutto internazionale, nonostante le minacce degli Usa e l’ostilità dei paesi confinanti, milioni di persone hanno riproposto la loro fiducia nel socialismo del XXI secolo iniziato da Chávez. A questo nocciolo duro si somma il rinnovato appoggio dei militari, come hanno dimostrato le parole pronunciate domenica sera dal ministro della difesa, Vladimir Padrino López: «Il Venezuela, la pace e la democrazia hanno di nuovo vinto».

L’«unione civico-militare» può costituire la base del nuovo governo Maduro. Ma difficilmente sarà sufficiente per le grandi sfide che dovrà affrontare: ricostruire un’economia che permetta una vita degna ai venezuelani, riannodare un dialogo nazionale e ,soprattutto, far fronte all’aggressività degli Stati uniti e dei suoi alleati neocoloniali latinoamericani. Per queste ragioni Maduro, ha bisogno di allargare la base sociale del suo governo, di un’alleanza o quanto meno di un dialogo con altre forze politiche per inziare il processo di riappacificazione sociale di un paese oggi diviso, stanco, affamato e deluso. Una soluzione politica della crisi è stata anche la raccomandazione di papa Francesco nel suo discorso di domenica.

In sostanza il presidente avrebbe bisogno di un’opposizione meno indecente e corrotta dell’attuale, disposta a mettere da parte i propri interessi per quelli del paese. C’è da augurarsi, anche se con poche speranze, che Falcón possa rappresentare non solo un volto nuovo dell’opposizione.