In attesa dell’arrivo, all’inizio della prossima settimana, in Israele e Territori ‎palestinesi occupati del principe ‎William in rappresentanza del regno britannico, ‎tutt’oggi accusato di aver gettato i ‎semi del conflitto che dal secolo scorso devasta il ‎Medio oriente, a caratterizzare la scena diplomatica è l’iniziativa americana per ‎israeliani e palestinesi. Donald Trump la chiama “Accordo del secolo”. La ‎‎”soluzione” che il presidente, il suo vice Mike Pence e il Segretario di stato Mike ‎Pompeo hanno in mente è stata tracciata dal riconoscimento fatto lo scorso 6 ‎dicembre da Trump di Gerusalemme come capitale di Israele. Le indiscrezioni ‎riferiscono di un “accordo” largamente favorevole a Israele, sul piano territoriale e ‎politico, e che prevede il riconoscimento di alcuni diritti dei palestinesi ma solo ‎con il pieno consenso dello Stato ebraico malgrado siano sanciti dalle risoluzioni ‎dell’Onu. Ai palestinesi non verrebbe assicurata l’indipendenza. Non sorprende che ‎da parte palestinese sia arrivato un secco rifiuto dell'”Accordo del secolo”, anche in ‎reazione della decisione presa da Trump di assegnare Gerusalemme a Israele ‎disconoscendo i diritti dei palestinesi sul settore arabo della città sotto occupazione ‎dal 1967.‎

‎ Se i palestinesi rifiutano l’iniziativa Usa e respingono la mediazione ‎dell’Amministrazione Trump schierata con Israele, perché gli Stati uniti vanno ‎avanti e, si dice, si preparano ad annunciare le loro proposte ad agosto? La risposta è ‎semplice. Il processo in atto esclude, senza affermarlo esplicitamente, un ruolo ‎attivo per i palestinesi. La questione palestinese, pensano Trump e i suoi uomini, ‎sarà risolta nel quadro di un accordo di pace tra Israele e le petromonarchie del ‎Golfo, con la partecipazione di Egitto e Giordania. Ad imporre l’eventuale ‎soluzione ai palestinesi ci penseranno i “fratelli” arabi desiderosi di chiudere questo ‎capitolo aperto da decenni e di vivere alla luce del sole l’alleanza con lo Stato di ‎Israele che già hanno dietro le quinte in funzione anti-Iran. Un esito anticipato dalle ‎parole pronunciate di recente negli Stati uniti dall’erede al trono saudita Mohammed ‎bin Salman che ha addossato ai palestinesi la responsabilità del mancato accordo ‎con Israele. Senza dimenticare che nessuno crede alla smentita fatta dal Bahrain ‎sulla sua disponibilità ad avviare relazioni diplomatiche con Tel Aviv riferita da ‎media regionali. ‎

‎ Ieri il premier israeliano Netanyahu ha incontrato per quattro ore Jared Kushner, ‎consigliere e genero di Donald Trump, e Jason Greenblatt, inviato speciale del ‎presidente americano, provenienti da un tour in Giordania, Arabia Saudita, Qatar ed ‎Egitto. A sua volta Netanyahu martedì si era recato in Giordania per un colloquio ‎con re Abdullah. I colloqui sul piano americano perciò vanno avanti ed riguardano ‎anche il futuro di Gaza. Sul tavolo, dopo la recente conferenza su Gaza tenuta negli ‎Stati Uniti con israeliani e arabi, c’è un programma di aiuti da un miliardo di dollari ‎per infrastrutture e progetti d’emergenza. I palestinesi lo respingono scorgendo in ‎tanta generosità americana, israeliana e araba, il tentativo di fare di Gaza un entità ‎separata dalla Cisgiordania, un carcere a cielo aperto con un Hamas al comando ma ‎prigioniero e addomesticato dai “fratelli” arabi, e un’Anp esclusa dal suo controllo, ‎quindi più debole e “costretta” ad accontentarsi di qualche porzione di Cisgiordania. ‎
‎ I palestinesi però non cedono. A Gaza ieri si sono svolte nuove manifestazioni per ‎la Marcia del Ritorno. Almeno 35 dimostranti sono stati feriti dal fuoco dei soldati ‎israeliani. ‎

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