In Afghanistan i soldati americani andavano con le valigie piene di dollari dai signori della guerra. E, casa per casa, per risarcire le famiglie delle persone uccise per sbaglio.

Aprivano le borse ed elargivano biglietti verdi. A volte funzionava, a volte invece la gente si arrabbiava ancora di più: quei soldi erano la conferma delle colpe degli americani. In vent’anni di guerra la distribuzione di denaro alla popolazione in un paese sotto occupazione è diventata una strategia militare, definita con l’acronimo Maaws: Money As A Weapons System.

Nel breve periodo, quando tutte le ipotesi su cui erano strutturate le operazioni si rivelavano errate, l’impiego di contanti sul campo di battaglia si è dimostrato la scelta migliore: sono serviti a comprare sicurezza a livello locale e quindi a riportare a casa vivi un maggior numero di soldati.

Nel lungo termine non ci sono invece stati vantaggi. Il resto è stato solo fumo prima di una sconfitta arrivata al termine di un lungo conflitto suddivisibile in quattro fasi.

La prima fase scatta all’indomani del 9/11, ha protagoniste le forze clandestine della Cia e, più che alla rimozione dal potere dei Talebani, è volta alla cattura (o all’uccisione) delle componenti qaediste in Afghanistan. La seconda si caratterizza per un grande impegno internazionale, la Nato svolge un ruolo di primo piano, l’obiettivo è trasformare l’Afghanistan in una democrazia moderna.

La terza fase coincide con l’ingresso alla Casa bianca di Barack Obama e si contraddistingue per un enorme incremento della presenza militare statunitense per reprimere una guerriglia sempre più attiva.

La quarta, inaugurata da Obama sul finire della seconda amministrazione, si distingue per l’attribuzione al dispositivo militare Usa del ruolo quasi esclusivo di formazione delle forze armate e di polizia afghane, su cui deve ricadere la responsabilità di reprimere la guerriglia e controllare il paese.

Nel passaggio dalla prima fase alle successive è di fondamentale importanza un atteggiamento culturale che confida sulla capacità degli strumenti finanziari di influenzare qualsiasi comportamento umano. Codificato in una serie di manuali, il programma Maaws ha prescritto l’impiego da parte delle forze combattenti di denaro in contanti per modellare l’ambiente a proprio vantaggio.

Nessuno ha sostenuto l’uso diretto di incentivi economici da parte dei militari meglio del generale David Petraeus, secondo cui «il denaro è la munizione più importante». In questo quadro, la quantità di denaro destinata a sconfiggere la guerriglia e favorire – almeno in ipotesi – l’avvento del libero mercato è stata monumentale.

Nei primi dieci anni sono stati spesi in Afghanistan circa 89 miliardi di dollari, più di quanto gli Stati uniti abbiano speso nell’ambito del Piano Marshall con cui fu ricostruita la Germania del secondo dopoguerra. Inondare l’Afghanistan con tale ricchezza, spesso distribuita in modo arbitrario, non poteva che incrementarne una corruzione già molto diffusa.

L’impiego diretto del denaro sul campo di battaglia non è stata un’esclusività del teatro afghano, era già stato usato in Iraq. Dopo la fine della Guerra Fredda alcuni accademici e un piccolo gruppo di leader militari statunitensi iniziarono a credere che la natura della guerra fosse ormai cambiata e che il futuro avrebbe riservato soprattutto impegni militari asimmetrici: la potenza di fuoco non sarebbe più stata decisiva e anche valutare il successo sarebbe divenuto difficile.

Era indispensabile trovare nuovi strumenti. Secondo alcuni, il fallimento in Vietnam derivava dall’enfasi posta sull’uccisione del nemico, piuttosto che sul tentativo di ottenere il sostegno della popolazione locale.

Di conseguenza, puntare sull’uso della forza per prevalere sull’insurrezione irachena, e poi su quella afghana, avrebbe finito con l’alienare la popolazione, anche solo per via degli inevitabili danni collaterali.

La persuasione fu considerata preferibile alla coercizione, gli incentivi alle punizioni. Tutto questo è ben documentato nel U.S. Field Manual on Counterinsurgency che dal 2006 guida l’operato dei militari statunitensi.