Ha recitato in francese, in inglese, in greco, oltre che, naturalmente, in italiano: «Ma sono stata doppiata solo in Italia: mai in Francia o in America, dove han lasciato intatta anche la mia pronuncia». La pronuncia e la voce, soffio profondo che a ogni incontro si sgomitola dal suo volto infantile, sempre sfavillante, a 53 anni, 85 film alle spalle, dentro la matassa di capelli ora biondi.

Sull’età ci scherza sopra, come al Bif&st di Bari, all’affollatissima master class seguìta al bel film di Silvio Soldini, Il colore nascosto delle cose (subito prenotato dal Festival Droits des Femmes & Cinéma, seconda edizione, il prossimo dicembre a Parigi): «In Portrait de la jeune fille en feu, della francese Céline Sciamma, premio per la sceneggiatura all’ultimo Cannes, sono per la prima volta una donna anziana».

Diciamo in età avanzata … o no ?

Non è avanzata: è proprio la mia, di come sono adesso. A volte ne provo un gran fastidio, altre meno: mostrare sullo schermo come sono è un modo per esorcizzare gli anni che passano. Proprio per non vedermi come sono, non volevo girare questo film. Ho risposto di no, un paio di volte. È più difficile, nel cinema, dire di no che dire di sì. Ma poi l’ho girato proprio per questo: per vedermi come sono.

È un’annata di film francesi, con brevi partecipazioni. Relax dell’attrice dopo il secondo film di regista ?

Sì, dopo il forte impegno di Euforia, che son venuta a presentare anche all’Institut Culturel Italien di Parigi, questa per me è la stagione dei piccoli ruoli, di blitz in una mia consorteria cinematografica: la Sciamma, mia amica prima ancora che collaboratrice, Valeria Bruni Tedeschi (Les Estivants), altra grande amica, Igort (5 è il numero perfetto, in lizza alle Giornate degli autori e in uscita il 29), Gabriele Salvatores (Tutto il mio folle amore, anch’esso in concorso alla Mostra e in uscita il 24 ottobre) o Benoît Jacquot. Nel suo Dernier amour, con  Vincent Lindon, interpreto la prima donna sedotta da Casanova.

Ruoli piccoli ma piccanti: sfida multipla per l’interprete ?

Son ruoli che possono destabilizzare: il sottile fascino della paura. Sono sempre stata attratta dai personaggi che mi fanno perdere l’equilibrio, che mi provocano un senso d’inquietudine, anche in film dove le riprese sono olimpiche.

È il caso di Actrices, altro film della Bruni Tedeschi ?

Non so come fa. Ogni volta che lavoro con lei, son totalmente stordita. Non potrei mai dirigere gli attori come riesce lei. Sa sempre trovare il modo e il momento giusti.

Nel ‘pacchetto’ francese c’è anche il nuovo film di Costa Gavras, sulla ‘Grexit’.

Vi interpreto Danae Stratou, la ‘visual artist’ moglie di Yanis Varoufakis, ex ministro dell’Economia. Una sfida nuova per me: nel film recito in greco. In realtà è l’altra mia lingua, appresa da mia madre. Il film, Adults room, è tratto dal libro omonimo dell’ex ministro, che narra le difficili trattative, per risanare il debito greco, con l’Eurogruppo nel 2015. Costa Gavras parla di tragedia greca in tempi moderni: ‘La storia d’un popolo intrappolato nel circolo vizioso dell’Eurogruppo, che ha imposto la dittatura dell’austerità alla Grecia’.

Film, per ironia della sorte, finanziato dal governo che ha dovuto applicare proprio quell’austerità. Ma il suo ruolo è all’apice d’una bella parabola internazionale d’attrice.

Iniziata a 16 anni, con una particina ina ina ! Era l’83. Allora abitavo in Grecia con mia madre. A Pasqua ero venuta in Italia a trovare mio padre, napoletano, germanista, fratello di Enzo Golino, il giornalista. È stata mia zia, caricatissima, a chiedere a Lina Wertmuller di farmi un provino, per il film che stava preparando, Scherzo del destino in agguato dietro l’angolo come un brigante da strada. Che avventura. Lina – la mia prima regista! –  mi urlava, me ne diceva di tutti i colori: sul set era cattivissima, mi faceva paura. Ma fuori del set era estremamente affettuosa. È così che ho deciso di lasciare la scuola e di entrare nel cinema.

E da allora, a gran velocità, film e successi, uno dopo l’altro.

La vita m’è scivolata via tra le dita, ogni giorno diversa. Tre anni dopo, a 19 anni, ero protagonista di Storia d’amore, di Citto Maselli, mio mentore, gran direttore d’attori, in prima alla Mostra di Venezia. Ero appena uscita da una lunga malattia, 6-7 mesi a letto senza muovermi (ne avevo approfittato per imparare il francese e per leggermi, d’un fiato, l’intera Recherche di Proust!). Ancora ragazzina e già una Coppa Volpi, per la migliore interpretazione: Felice Laudadio mi diceva che sarebbe spettata a me ma che sarebbe andata a Sabine Azéma. Invece… E se mi rivedo, mi dico che ero proprio brava in quel film, la Coppa me la dovevano dare! Oggi è grande, d’oro, pesantissima. Ma quella Mostra era ancora spartana, la Coppa era incisa su una targhetta. E io, a Roma dov’ero tornata, m’ero fatta prestare un vestito da mia mamma per andare a Venezia a ritirare il premio.

Gli abiti da cerimonia son sempre stati una scelta ‘last minute’ per lei, vero ?

Vero! Sempre quell’anno, ero tra i giurati del Torino Film Festival, a fianco di Jerry Schatzberg. Jeans stracciati, capelli lunghi & kefiah: una barbona. E chi incontro? Isabella Ferrari, solo un paio d’anni più di me, ma già donna di classe: d’eleganza raffinata, tutta Chanel. Eravamo ai poli opposti della moda, ma siam diventate subito amiche. Poi, a Torino, son tornata ancora, ma più ‘vestita’, per presentare tra l’altro il film di Fabrizio Bentivoglio, Lascia perdere, Johnny.

Dopo il premio dell’86 a Venezia, via con gli Usa: e lei è diventata hollywoodiana.

Una stagione durata 12 anni, dai 23 ai 35 anni . E 7 film, da Rain Man di Barry Levinson, con Tom Cruise e Dustin Hoffman, ai parodistici Hot shots! (1 et 2) di Jim Abrahams, dal Sean Penn di Lupo solitario al Mike Figgis di Via da Las Vegas, al John Carpenter di Fuga da Los Angeles o la Julie Taymor di Frida. Alcuni molto belli, altri molto meno. Di Hollywood ho comunque un ottimo ricordo: e anche la consapevolezza che avrei potuto fare di più. Ma mi giravano attorno possenti animali da cinema, come Julia Roberts, che ho conosciuto e incrociato in più occasioni: vicino a lei diventavo subito la straniera, la reietta…

Tornata in Europa, cinema d’autore (Respiro !), David e Nastri d’Argento. E la regia. Perché la regia ?

Sono cinefila, prima che attrice: mi piace l’estetica del cinema, la sua forma. La voglia, anzi, il bisogno di dirigere un film, li sentivo da tempo. Ho cominciato tardi, a 45 anni, con un corto e poi Miele – sono una giovane regista di mezz’età –, un po’ per pudore, per un senso di inadeguatezza, un po’ per l’impegno a tempo pieno come attrice.  Sono una persona sempre nel dubbio: ho acquisito il gusto cinematografico negli anni, cominciando fortunatamente molto presto. Il cinema, l’ho imparato facendolo. Ora so che cosa evitare. Giro storie che mi piacciono, ma soprattutto che so di essere in grado d’affrontare.  Il primo lungo, l’ho tratto da un libro. Il secondo, Euforia, è su un soggetto mio. Entrambi presentati a Cannes (a Un certain regard), di cui sono frequentatrice fedele – il rituale del red carpet mi piace! –, poi ripresi in altri festival francesi, come Les Arcs, dove ho ritrovato l’amica Bruni Tedeschi.

Sul fronte femminile, qualcosa si muove nel cinema ? A esempio in Francia ?

Un’attrice della mia età, 30 anni fa, non avrebbe avuto futuro su grande schermo. Assistiamo a un cambio culturale nella società, a volte violento, come negli ultimi due anni con #MeToo. Attraversiamo un periodo di disagio, con il bigottismo uomo-donna che ha preso il posto della sopraffazione maschilista. Dopo questo cambio di rotta, mi auguro sviluppi più soft. Anche parlarne è divenuto pesante. Invece se ne parla ancora tanto, troppo. Non se ne deve più parlare. Basta. Segnali di un’inversione di tendenza ci sono: e la dobbiamo a noi stesse, che spesso ci sottostimiamo. Io per esempio aspiravo alla regia da anni, già a 30, ma mi dicevo ‘Non mi daranno fiducia, non mi produrranno’ e ho finito per debuttare a 45…