L’ultimo saluto Valentino Parlato lo ha ricevuto nella storica sala della Protomoteca del Campidoglio, stipata di tanti amici e compagni.

A mitigare l’inevitabile dose di retorica dei nostri discorsi c’era l’affetto di centinaia di persone venute a dirgli semplicemente addio. Semplicemente come sarebbe piaciuto a lui. Perché tra le tante qualità, Valentino ne aveva una in particolare, la semplicità. Nel modo di essere con se stesso e con gli altri. Nella capacità di leggere la politica e la società del nostro mondo. Grande semplicità che voleva dire grande umanità. Non c’è messaggio, lettera o intervento che non rilevi questo suo modo di essere amichevole.

Se c’è una luce nel dolore, forse va trovata nel fatto che questo è un lutto collettivo, condiviso da tante generazioni di donne e di uomini che lo hanno conosciuto e che da lui hanno ricevuto, affetto e insegnamenti, come è stato per tanti di noi, allora ventenni con la fortuna di vivere ogni giorno nella grande, divertente, meravigliosa, difficile scuola di via Tomacelli.

Come è stato per le generazioni che lo hanno incontrato negli anni e nei decenni successivi.

valentino parlato

Il suo, il nostro giornale in queste ore è sommerso da messaggi, lettere, articoli che lo salutano, lo ricordano, lo raccontano. Una valanga di affetto e di stima per la sua figura di intellettuale, di dirigente, di “compagno gentiluomo” come diceva il titolo della vignetta di Mauro Biani pubblicata sul giornale.

Siamo rimasti colpiti dalla quantità di persone che hanno voluto testimoniare, anche con pochissime parole, la loro vicinanza, il loro dolore per la sua perdita. E spero di non offendere Maria Delfina e i figli se dico che Valentino apparteneva un po’ a tutti noi.

La sua figura di uomo, di amico, di compagno è stata raccontata sul manifesto da tanti, penso soprattutto a Rossana Rossanda e a Luciana Castellina. Luciana lo ha ricordato come «un fratello capace di consigliare le cose giuste da fare nella vita». Rossana ha sottolineato «la grande apertura alle idee altrui». Voglio citare il messaggio del presidente Mattarella che ha parlato della «sua capacità di dialogo», quello di Giorgio Napolitano che ha sottolineato la «sua integrità morale».

Fratello, amico, interlocutore. La sua fraternità non era però solo un tratto del carattere perché camminava insieme al suo non essere ideologico: era un connotato fortemente politico.

Come ho scritto il giorno della sua scomparsa e come ho voluto ricordare anche ieri, Valentino riusciva a smussare gli angoli, sempre intenzionato a non esasperare le tensioni di un collettivo turbolento e un po’ anarchico.

Lui privilegiava le aperture, ecco perché, anche nelle dolorose vicende e fasi del manifesto, cercava di tenere aperti i collegamenti. Insieme siamo riusciti ad abbattere il muro delle incomprensioni, e Valentino è tornato a commentare la politica italiana e internazionale.

Valentino ha sempre preferito di gran lunga l’analisi dissacrante della realtà. E, qualità che lo rendeva caro e vicino, c’era sempre. Il suo sguardo disincantato perché profondo e profondo perché sapiente, ha seminato il virus della curiosità, il virus della serietà, della competenza, dello studio, necessari per chi sente l’impegno politico. Virus contagiosi nel senso che hanno proficuamente contagiato tutta la nostra storia politica collettiva e perché daranno frutti anche in futuro.

Nell’ultimo articolo, scritto un mese fa, si concentrava sul “cambio d’epoca” che stiamo vivendo, sulla globalizzazione, sulla finanza, sulla presenza «di un nuovo capitalismo – cito – assai diverso e più pesante del neocapitalismo, che va studiato seriamente per individuare anche con che tipo di lotta dobbiamo contrastarlo e se di queste lotte si debbono far carico i lavoratori e non anche i cittadini e quali rivendicazioni poi mettere in campo».

Sono convinta che un suo desiderio sarebbe quello di vedere una nuova forza di sinistra capace di recuperare un po’ della storia passata e di guardare al futuro, senza smanie di protagonismi, di personalizzazione, di lotte di potere, capace di difendere i principi democratici e i diritti civili e sociali di milioni di persone. Problemi e sfide di fronte alle quali il manifesto si sente piccolo.

Ci hanno lasciato in molti in questi quasi 47 anni di vita del giornale.

Ci hanno lasciati Aldo Natoli, Luigi Pintor, Lucio Magri, Eliseo Milani, tutti fondatori del manifesto. Lasciando ognuno un ricordo, una testimonianza e un’eredità collettiva.

Chi oggi lavora nella redazione di via Bargoni è impegnato per dare un futuro ancora lungo alla testata e a questa lunga storia e eredità. Nel tentativo di tenere viva la riflessione e coniugarla con l’impegno di contribuire alla costruzione di una forza di sinistra nel nostro paese. Naturalmente con tutti i nostri limiti e difetti ogni giorno proviamo a essere i degni figli di una vicenda unica nella storia politica italiana.

Le foto di Valentino che stiamo pubblicando sono molto belle. Ma Valentino aveva anche una bellissima voce. È la sua voce che in questi giorni continuo a sentire, perché alla fine è vero, nessuno se ne va per sempre finché c’è chi lo ricorda con la mente e con il cuore.

C’è una cosa che appartiene esclusivamente alla nostra storia, alla storia del manifesto. Un valore ci ha accomunati – pur nella diversità di idee e di posizioni politiche che hanno determinato anche radicali divisioni – ed è l’integrità morale.

Per quasi cinquant’anni – sono 48 dalla nascita della Rivistail manifesto ha vissuto un’esperienza collettiva che ha avuto come collante non tanto e non solo l’ideologia, ma una propria morale, nettamente distintiva. Essere del manifesto ci ha fatto sempre sentire un po’ diversi dagli altri.

E Valentino pur essendo il più disponibile verso gli altri, sapeva che questa particolarità era nostro quasi esclusivo patrimonio.

Vorrei concludere questo saluto lasciando a lui, a Valentino, l’ultima parola con una breve citazione di un brano tratto dal libro La rivoluzione non russa. Quarant’anni di storia del manifesto.

(Quarant’anni perché il libro è del 2012, quando ancora non sapevamo se saremmo riusciti a salvare il giornale dalla Liquidazione e ricomprarci la testata, come invece siamo riusciti a fare nel luglio dello scorso anno.)

Ecco le sue parole: «Le ripetute crisi del manifesto mi hanno ricordato il mito di Anteo. Il combattivo gigante libico che vinceva sempre perché tutte le volte che cadeva per terra (la Terra era sua madre), riprendeva le forze e batteva l’avversario. La terra del manifesto sono i lettori compagni, il popolo del manifesto ci ha sempre ridato forza. Ma il mito dice anche che Ercole tenne Anteo sollevato da terra e lo strangolò. Per sopravvivere e vincere non dobbiamo perdere il contatto con la terra, con i compagni. E se Ercole ci solleva da terra per strangolarci, si sollevi la terra, pur con tutte le critiche e rimproveri che meritiamo. Ma sappia, la terra, che qui la vita è difficile».

Specialmente adesso che lui se ne è andato.