E adesso tocca a lei, Valentina Cuppi, sindaca di Marzabotto (Bologna), classe 1983, la giovane presidente del Pd che diventa reggente del partito e lo guiderà all’assemblea del 13 e 14 marzo. Una responsabilità enorme. Già oggi sarà a Roma, alla sede Pd del Nazareno, per prendere le redini della esplosiva situazione.

Nella tarda serata di ieri, impegnata a mettere a letto il figlio piccolo, non aveva ancora ricevuto la lettera di dimissioni di Zingaretti. «Leggo molti appelli affinché ci ripensi, mi sembrano segnali molto positivi», spiega al manigfesto. Spera in un ripensamento? «Me lo auguro, ma perché possa avvenire serve un impegno solenne di tutti, un cambio di passo reale. Zingaretti nel suo messaggio mi è parso molto chiaro: non si può dire una cosa negli organismi dirigenti e poi uscire e dire il contrario. Così un partito non va avanti».

Lei, in ogni caso, si tiene pronta: nel caso in cui Zingaretti non ritiri le dimissioni, l’assemblea del 13 marzo dovrà aprirla lei con la relazione. E ha già le idee chiare sulla strigliata da dare: «Un partito con delle correnti che hanno come unico obiettivo la lotta per il potere non è più accettabile. Su questo bisogna mettersi d’accordo una volta per tutte».

Vaste programme. In ogni caso l’assemblea di metà marzo non potrà decidere quasi niente. Lo statuto del Pd prevede che se ne convochi un’altra entro 30 giorni dalle dimissioni del segretario. E che sia questa seconda assemblea a decidere: o eleggere un nuovo segretario con pieni poteri (come avvenne nel 2009 con Franceschini dopo l’addio di Veltroni e con Maurizio Martina dopo l’uscita di scena di Renzi nel 2018), oppure attivare il percorso per il congresso: prima tra gli iscritti e poi con le primarie.

Vista la situazione Covid, è molto improbabile che si aprano subito le danze per il congresso con primarie a giugno (così prevede lo statuto). Molto più realistico che si elegga comunque un segretario vero, che gestisca il partito per alcuni mesi e accompagni le comunali di ottobre, per poi fare il congresso entro fine anno o all’inizio del 2022.

Del resto, la maggioranza che ha sostenuto Zingaretti nel 2018 è largamente dominante tra i circa 1000 delegati dell’assemblea: dopo l’addio al Parlamento di Maurizio Martina (ora alla Fao) che era arrivato secondo nel 2019 con circa il 20%, l’area dell’ex segretario arriva oltre l’80%. Dunque non sarebbe difficile eleggere un nuovo leader anche senza i voti degli ex renziani.

In queste ore, tra i dirigenti tramortiti dalle dimissioni di Zingaretti, si comincia a ragionare sul da farsi. Nei due casi precedenti (Franceschini e Martina) toccò al vice subentrare al leader dimissionario. Stavolta però è improbabile che tocchi ad Andrea Orlando, già impegnato nella delicata casella di ministro del Lavoro.

Il nome che circola con più insistenza è quello di Roberta Pinotti, della corrente di Dario Franceschini ma proveniente dai Ds, già ministro della Difesa nei governi Renzi e Gentiloni e attuale presidente della commissione difesa del Senato. Per ora è solo una voce ma, dopo le dure polemiche sull’assenza di ministre Pd con Draghi, l’idea di affidare il partito a una donna, e di forte esperienza, sta prendendo quota nell’area rimasta orfana di Zingaretti. Ma l’assemblea che dovrebbe eleggere il nuovo segretario/a si terrà solo dopo Pasqua. E in questo Pd balcanizzato, in un mese può succedere di tutto. (and.car.)