Nel giorno in cui la Confindustria ha deciso di prendere a cannonate il governo Lega-M5S, denunciando crescita zero e debito pubblico alle stelle, economisti e banchieri hanno messo in campo una diagnosi impietosa del malato Italia che va oltre le cifre dell’associazione degli imprenditori. Siamo nella lussuosa sede milanese della Banca d’Italia per la presentazione dell’ultimo libro di Pierluigi Ciocca, Tornare alla crescita, «Perché l’economia italiana è in crisi e cosa fare per rifondarla». Oltre a Ciocca che è stato vicedirettore di Bankitalia, sono presenti Fabrizio Saccomanni, Presidente Unicredit ed ex ministro del Tesoro del governo Letta, Antonio Calabrò Vicepresidente di Assolombarda, l’economista Guido Maria Rey, Giuseppe Sopranzetti, direttore della sede milanese di Banca d’Italia e Federico Carli, presidente dell’associazione Guido Carli.
La diagnosi di Pierluigi Ciocca è ancora più severa e profonda di quella firmata dai confindustriali e sotto accusa ci sono anche le imprese che ora alzano la voce come se fossero soltanto vittime. Nelle prime pagine del suo libro le parole sono più pesanti delle cifre: «La realtà vera è che l’Italia non produce più di quanto produceva quindici anni fa; la disoccupazione, non solo quella dei cosiddetti giovani, è alta, il lavoro malpagato, precario; la povertà si estende, l’evasione fiscale impazza, il debito pubblico spaventa i mercati; la questione meridionale si è incrudita; la produttività delle imprese ristagna; la cultura, le istituzioni, la politica, la società civile stentano a scuotersi, a fare fronte». Nella sua analisi Ciocca evita di soffermarsi sul fatto che una parte maggioritaria della società civile una scossa l’ha data alle ultime elezioni politiche ma in una direzione opposta a quella auspicata dall’economista.

Chi sono i responsabili di questa disastro che sta portando l’Italia verso la decadenza? Pierluigi Ciocca non ci pensa tanto, risponde a bruciapelo: «La politica, la Germania un po’ sadomasochista e le imprese». Nel libro di Ciocca il nome di John Maynard Keynes non si fa mai ma le politiche dell’economista che con le sue teorie fece uscire l’occidente dalla crisi del 1929 vengono evocate, soprattutto per ciò che riguarda gli investimenti pubblici e il moltiplicatore sull’economia in presenza di investimenti dello Stato.

Nelle ultime pagine del suo libro l’economista propone sette punti per tornare alla crescita: il riequilibrio del bilancio, gli investimenti pubblici, un nuovo diritto dell’economia, una crescita del profitto da produttività, una perequazione distributiva, una strategia per il sud e una diversa politica europea.«Mi rendo conto che alcuni di quei punti richiedono tempi lunghi ma due cose si potrebbero fare subito: abbassare drasticamente il debito pubblico e mettere in atto investimenti pubblici. Se si risparmiassero due punti di Pil in spesa corrente e si investissero in opere pubbliche gli effetti si vedrebbero. Se tali condizioni si realizzassero l’economia italiana potrebbe ritrovare un sentiero di crescita di lungo periodo dell’ordine del 2,5%». Professor Ciocca, mi pare che con questo governo non ci siamo a proposito di investimenti pubblici e debito pubblico. «Certo, non ci siamo proprio. Ma anche con i governi precedenti non c’eravamo».

Antonio Calabrò, vicepresidente di Assolombarda, sull’onda dell’attacco di Confindustria, ha criticato la inattendibilità delle previsioni di crescita del governo Giallo-Verde: «La crescita dell’1 per cento prevista dal documento del governo è assolutamente inattendibile, sarà crescita zero». Drastica l’analisi dell’economista Guido Maria Rey: «Non è pensabile che nel 2019 ci troviamo come se fossimo alla fine della seconda guerra mondiale».
Fabrizio Saccomanni, presidente di Unicredit ha preferito non parlare della responsabilità delle banche nella crisi in atto. Il banchiere invece ha difeso la Germania dalle critiche contenute nel libro di Pierluigi Ciocca. Secondo Saccomanni la Germania soffre il debito pubblico italiano. «La verità è che l’Italia ha preso impegni con l’Europa e la Germania e non li ha mantenuti».
C’è speranza di uscire dal tunnel? I dati di oggi non fanno ben sperare, «i dati ci dicono che c’è un problema Italia. Ad esempio lo spread in Italia – osserva ancora Saccomanno – è il doppio di Spagna e Portogallo. L’incertezza politica ha un costo altissimo. Da quando sono in Unicredit vedo tanti progetti imprenditoriali interessanti che poi si fermano per l’incertezza sul futuro».