Doveva essere un’estate pacificata in val Susa, lontana dai riflettori dei media e all’insegna della quiete molto agognata dai promotori della Torino-Lione. Vinta la resistenza nel governo un anno fa, in molti credevano e speravano che i lavori sarebbero ripartiti dopo una lunghissima fase di semi-stallo. Ma così non è stato né sul piano operativo – lo scavo è sostanzialmente rimasto dov’era in val Susa – né su quello popolare.

Nonostante il venir meno del festival dell’Alta Felicità per ovvie ragioni legate alla perdurante emergenza Covid, il cantiere della Torino-Lione ha attratto centinaia di manifestanti che, ormai da settimane, stanno mettendo sotto pressione l’apparato militare che difende il sito di «interesse strategico».

La scorsa notte una lunga «battitura» – rumore assordante generato dalle pietre sbattute contro le alte reti di ferro – svoltasi presso i cancelli che circondano il cantiere, ha visto la risposta da parte dei militari presenti con getti di acqua “sparati” dagli idranti.

Ma è solo l’ultimo episodio di una costante presenza fisica che il movimento No Tav sta esercitando nei boschi della val Clarea, dove ha costruito degli avamposti difesi da barricate presso la località Mulini, e non solo: manifestazioni si sono svolte ieri a Salbertrand, dove è prevista la costruzione della fabbrica dei conci che sosterranno la volta del tunnel, e a Chiomonte sotto la sede del Comune.

I manifestanti da settimane si trovano in val Susa e da giorni a poca distanza dal cantiere, questo perché potrebbe esserci un allargamento del perimetro dei lavori che, in queste condizioni, sarebbe molto complesso da realizzare.

La resistenza sul piano popolare non arretra e anzi per alcuni aspetti mostra perfino una recrudescenza rispetto al passato recente; non è da meno quella politica, quanto meno locale: diciassette sindaci della val Susa hanno scritto una lettera al presidente del Consiglio Giuseppe Conte, nella quale chiedono di chiarire quali siano i «benefici» della Torino-Lione e, in caso di valutazione negativa, fermarla. Domanda retorica in virtù delle valutazioni della Corte dei Conti Europea che recentemente ha “bocciato” l’opera. Giudizio simile fu espresso anche dalla Corte dei Conti francese nel 2016.

Presente alle manifestazioni di protesta presso il cantiere la consigliera regionale del M5s Francesca Frediani, già capogruppo, che ieri si domandava «dove è il fondatore Beppe Grillo», un tempo molto vicino al mondo No Tav.

La figura dell’ex comico è stata fortemente evocata in questi giorni a causa dell’esproprio di un simbolo del mondo No Tav, la baita che sorge sul terreno di Marisa Meyer, luogo storico del movimento: una casetta in pietra costruita nel 2010, il cuore di quella che fu la «Libera repubblica della Maddalena» del 2011.

Ieri, la proprietaria del terreno dove resiste la piccola casetta – nel 2010 giunse Beppe Grillo, presenza che gli costò una denuncia per la violazione dei sigilli apposti dalle autorità: venne poi prescritto ma solo durante il secondo grado, nel primo fu condannato a quattro mesi di reclusione – si è presentata presso i cancelli del cantiere nel pomeriggio. Convocata per la notifica dell’esproprio, prodromico forse a un abbattimento che significherebbe il prossimo allargamento del cantiere, è giunta accompagnata da decine di comodatari a cui in passato cedette il terreno dove sorge la baita. Tra la folla, oltre alla sopracitata consigliera regionale, era presente anche la parlamentare del M5S Jessica Costanzo.