Oggi è il giorno in cui il parlamento catalano si riunisce per la prima sessione di investitura di questa legislatura. Ma ancora una volta ci saranno colpi di scena. L’unica cosa certa è che, dopo aver consultato i partiti, il presidente del parlament Roger Torrent, ha convocato per le tre la sessione per votare l’investitura di Carles Puigdemont, il candidato alla presidenza della generalitat che ha ricevuto maggiori appoggi. Questo semplice procedimento formale ha scatenato una reazione isterica da parte del governo di Madrid. In linea di massima, poiché Puigdemont è un cittadino non condannato (ancora) da nessun tribunale, per quanto ricercato dalla giustizia spagnola – e solo quella, visto che il giudice ha ritirato l’ordine di cattura europeo per timore che i reati di cui lo accusava non fossero riconosciuti dai magistrati di altri paesi – sulla carta nulla impedisce che venga proposto come candidato.

Altra questione è l’eleggibilità: per essere eletto deve essere presente fisicamente al dibattito. Lo avevano già indicato i giuristi del parlamento e questo fine settimana l’ha stabilito anche il Tribunale costituzionale (Tc). Già, perché il governo di Rajoy nemmeno 24 ore dopo aver dichiarato che l’esecutivo non poteva impugnare nessun atto prima che l’elezione (presumibilmente in absentia) di Puigdemont si concretizzasse, ha deciso di ricorrere al Tc cercando di impedire che avesse luogo la stessa sessione di investitura, con la curiosa argomentazione pseudogiuridica che Puigdemont non gode dei diritti di «libera deambulazione» in Spagna e che non potevano permettere fosse eletto.

Ma la mossa era tanto azzardata che per la prima volta nella storia spagnola, il Consiglio di stato (che deve fornire un parere, non prescrittivo, nel caso di impugnazioni davanti al Tc) aveva argomentato che il governo non aveva motivi giuridici per la richiesta. La legge spagnola prevede che se il Tc accetta di discutere un ricorso, automaticamente la legge o l’atto in questione viene sospeso in attesa del giudizio. Ma in questo caso si sarebbe aperto un limbo giuridico, perché in teoria domani scade il termine per la sessione di investitura, in assenza della quale si andrebbe a elezioni. Ma se la seduta viene sospesa che succede? Un bel rompicapo. Così il Tc si è dovuto arrampicare sugli specchi. Alla fine, per la prima volta sul tema catalano, il governo è stato smentito dai giudici costituzionali. Nell’atto emesso dall’alto tribunale si specifica, fra l’altro, che Puigdemont deve appunto essere presente per essere votato e deve chiedere il permesso al giudice. L’atto, che si appella a una «situazione eccezionale», è stato criticato da molti giuristi. Ma il Tc è riuscito più o meno a salvare la giurisprudenza senza spaccarsi e senza ingoiare il rospo governativo. Il risultato netto è che la presidenza del parlament ora non può accettare una votazione non presenziale senza infrangere una decisione del Tc, costituirebbe un reato che li potrebbe trascinare in carcere.

Puigdemont intanto ha chiesto per iscritto protezione a Torrent perché tuteli la sua immunità che non permette che venga arrestato e «i diritti e le prerogative del parlament e di tutti i suoi membri». Intanto sono già 4 gli ex ministri che hanno rinunciato al seggio e chiesto di essere sostituiti. L’ex ministro della sanità Toni Comín, come lo stesso Puigdemont, ha ritirato la richiesta di delega di voto da Bruxelles per evitare che l’ufficio presidenza possa prendere una decisione che i giuristi della camera catalana considerano illegale. Il Tribunale supremo ancora una volta ha respinto la richiesta dei deputati incarcerati Oriol Junqueras e Jordi Sánchez di prendere parte alla sessione di oggi, ma loro potranno delegare il voto.

Vedremo se si celebrerà davvero la sessione, se Puigdemont (assieme a Comín?) burlerà i «ferrei» controlli della polizia spagnola e si presenterà, o se all’ultimo momento gli indipendentisti cambieranno cavallo. Nella sessione di oggi il candidato dovrebbe ottenere la maggioranza assoluta dei voti; altrimenti dopo 48 basterà solo la maggioranza semplice.